RomaLa bellezza del nostro Paese è una materia prima. Da sola basterebbe a sfamarci tutti, a farci lavorare e a farci stare bene. Non è una di quelle boutade che si dicono di fronte agli stranieri per vantarsi dei tesori artistici e naturali che il mondo ci invidia. È un puro e semplice calcolo che si ottiene incrociando i dati di indagini provenienti da fonti diverse. Tutte queste indagini, però, arrivano alla stessa conclusione. Se scommettessimo sulla bellezza potremmo risolvere il problema della disoccupazione, del debito pubblico e della crescita del Pil. E come riuscirci ce lo spiega tra gli altri l'ultima indagine di Emilio Casalini, appena pubblicata da Sperling & Kupfer con il titolo Fondata sulla bellezza. Un saggio che non si limita a puntare l'indice contro il paradosso italiano di avere il maggior tesoro artistico mondiale e di sfruttarlo peggio di chiunque, ma va oltre spiegando come metterlo a reddito e soprattutto aggiungendo ai suggerimenti una provocazione: la bellezza va inserita nella Costituzione.
Il primo elemento che salta agli occhi di chiunque è l'andamento del settore del turismo. Questo è l'unico settore a essere costantemente cresciuto negli ultimi lustri. Alla faccia della crisi globale, qui tutto continua a crescere e a muoversi. Quindi anche uno sprovveduto capirebbe che è il posto giusto dove investire. Ma non da noi. Casalini offre anche dati precisi: in tutto il mondo la crescita del numero di persone che si sposta per turismo è del 4-5% ogni anno. Ma non da noi, appunto. E quello che manca, con tutta evidenza, non è soltanto una spinta agli investimenti ma anche una visione di insieme. E prendiamo un esempio banale. Qual è il Paese che «esporta» da noi più turisti ogni anno? Da qualche tempo è la Cina. Sono loro il gruppo maggioritario. Eppure la nostra compagnia di bandiera (Alitalia) non ha collegamenti diretti con la Cina. A fronte, a esempio, dei 47 voli settimanali offerti da Lufthansa. Mentre, sempre la nostra compagnia di bandiera, continua a gestire la tratta Roma-Milano, snobbata dalle altre compagnie perché poco redditizia con la concorrenza dell'alta velocità ferroviaria.
I turisti culturali, tra l'altro, sono ottimi clienti. Lo dimostra anche un'indagine di Unioncamere. Se investissimo davvero su turismo e cultura - suggerisce questa ricerca -, ce ne sarebbe per tutti, dalle imprese che producono scarpe al web designer. Il turista culturale che soggiorna in Italia è più propenso a spendere 52 euro al giorno per l'alloggio, in media, e 85 euro per spese extra, contro i 47 euro per alloggio e 75 per gli extra di chi viene per ragioni non culturali. Del totale della spesa dei turisti in Italia, 73 miliardi di euro nel 2013, il 36,5% (26,7 miliardi) è legato proprio alle industrie culturali.
E con quanto offre il nostro Paese - come suggerisce la stessa Unesco - ce n'è abbastanza per occupare tutti. L'unico primato su cui concordano le ricerche, infatti, è proprio quello dei siti Unesco. L'Italia è il Paese che ne vanta il numero più consistente: addirittura 50. Già oggi gli occupati del settore (turismo culturale) superano di poco il milione e mezzo. Ma, come tutti gli analisti concordano, l'effetto moltiplicatore è un dato certo. Infatti attorno a un museo, un parco naturale, un borgo medievale si crea un indotto non indifferente, stimolando settori come edilizia, agricoltura, commercio e trasporti.
Peccato che anche gli stessi strumenti primi di questa particolare «industria» non siano messi a reddito nel migliore dei modi. Ed ecco il confronto con i concorrenti transalpini. In Italia ci sono circa 34mila alberghi che offrono una disponibilità di 2,2 milioni di posti letti. In Francia sono solo 17mila gli alberghi (con 1,2 milioni di letti). Solo che questi ultimi sono frequentati da un numero molto maggiore di turisti, quindi il tasso di occupazione per le stanze in Francia è del 60% mentre da noi arriva a 47%.
Se il settore turistico è in costante crescita in tutto il mondo, da noi è lento se non stagnante. Quindi è facile capire perché gli alberghi francesi abbiamo un tasso di occupazione ben più alto del nostro. Da loro arrivano ogni anno 83 milioni di visitatori. Negli Stati Uniti ne arrivano «solo» 67 milioni l'anno e in Cina e in Spagna poco sotto i 60. Nella classifica noi ci attestiamo ben sotto con i nostri 46 milioni. Ma soprattutto non cresciamo, a differenza di quanto accade dovunque. Basti pensare al caso croato. Nel 2000 arrivavano laggiù 5,3 milioni di turisti. Che nel 2013 sono praticamente raddoppiati superando quota 10 milioni. Chissà poi quale sarà il contributo offerto dal Louvre all'offerta turistica francese? Di sicuro notevole.
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