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Silvio rottama 9 deputati su 10 E sullo spread: "Un imbroglio"

Berlusconi in tv ribatte a distanza al Prof Monti: "Il suo governo ha portato una crisi molto più pesante". E in serata incontra Maroni per siglare l'accordo con il Carroccio

Silvio rottama 9 deputati su 10 E sullo spread: "Un imbroglio"

Roma - Che ci frega dello spread? Tanto, dice a Canale 5 Silvio Berlusconi, «è solo un imbroglio, un'invenzione», un giochetto che è servito un anno fa «a far cadere il governo votato dagli italiani». Adesso è già ridisceso: «L'anticipo delle elezioni è un motivo risibile, non può essere uno spostamento di poche settimane a provocare una crisi degli indici differenziali». Il problema vero è un altro, e cioè che «purtroppo il governo Monti ha portato una crisi molto più pesante di quando c'eravamo noi». Ma il voto è vicino. Il Pdl, racconta il Cav, forse tornerà al nome di Forza Italia, rottamerà il 90 per cento dei parlamentari uscenti e cercherà intese con la Lega per politiche e Lombardia. E infatti in tarda serata Roberto Maroni arriva a Palazzo Grazioli per «discutere di alleanze e programmi». Presenti al vertice anche Angelino Alfano, Denis Verdini, Guido Crosetto e Paolo Bonaiuti mentre, per la Lega, c'erano pure Roberto Calderoli e Giancarlo Giorgetti.

Intanto però «smettiamola di parlare di questo imbroglio», insiste l'ex premier. «Cosa ci importa degli interessi dei nostri titoli rispetto a quelli sui Bund tedeschi? Quando l'anno scorso salì, Berlino aveva ordinato a tutte le banche di vendere otto-nove miliardi di buoni del Tesoro italiani. Gli altri fondi hanno pensato, “se la Germania vende, qualcosa ci sarà”, e hanno chiesto a noi un premio del 6 per cento per il rischio tecnico. La Germania ne ha approfittato e ha abbassato i tassi all'1%». Insomma, una manovra che è servita «ad abbattere un governo e a fargli perdere la maggioranza».

Il Cavaliere chiama il capogruppo del Ppe a Strasburgo Joseph Daul e conferma il suo «europeismo». Però, aggiunge, abbiamo pagato i tanti nein detti alla Frau Angela. «Io ho detto di no - racconta - quando la signora Merkel chiedeva che alla Grecia fossero imposte delle riduzioni che l'avrebbero portata, come è stato, quasi alla guerra civile. Ho detto di no quando si è parlato di Tobin tax. Ho detto di no quando si è trattato di far calcolare alle banche i titoli del debito pubblico posseduti non al valore di rimborso ma del secondo mercato». Silvio Berlusconi ricorda di aver persino messo il veto sul fiscal compact, sospendendo il consiglio dei capi di Stato e di governo, per far presente che l'Italia non poteva assumersi una riduzione del debito di 50 miliardi all'anno. «Il nostro Pil va calcolato sommando a quello emerso anche quello sommerso, cosa che invece l'Europa non fa».

Il Professore è ai titoli di coda, difeso stavolta da Pier Luigi Bersani: «Quelle di Berlusconi sono solo stupidaggini, il rialzo dello spread è preoccupante. Certamente con la Germania bisogna discutere da pari a pari, ma in modo amichevole». I toni si alzano, le elezioni si avvicinano. Il segretario del Pd esclude la grande coalizione: «Se si pareggia, si torna a votare». Il leader del centrodestra conferma che quella di spacchettare il Pdl e di tornare a Forza Italia-An è più che un'idea. «Amichevolmente, con stima reciproca, parliamo la possibilità di un gruppo formato da protagonisti con una storia di destra. Separati prenderemmo più voti». Schema e simbolo del '94, ma facce nuove. «Il 50% per cento dei candidati verranno dal mondo delle imprese e delle professioni, il venti da sindaci e amministratori locali, il dieci da personalità dell'arte e della cultura». Dunque solo un parlamentare su dieci, tra gli uscenti, verrà riconfermato, ad eccezione di quanti non hanno una matrice solo politica e vengono già «dalla trincea del lavoro» e saranno perciò inseriti nella quota del 50%.

Gli altri, fuori.

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