Crescita, lavoro e banche. È su queste leve che bisogna agire per uscire dalla crisi, lasciata irrisolta per quasi due anni.
Mentre l'Europa sta prendendo finalmente consapevolezza dei suoi errori e sta individuando la strategia per uscire dalla crisi, Pier Luigi Bersani, irresponsabile, opportunista, cinico, ossessionato da Berlusconi, sposta l'asse del Pd verso derive fondamentaliste, terzomondiste, giustizialiste, antieuropeiste, radical chic, no tav, pauperiste, anticapitaliste. Paradossale che, mentre l'Europa sta trovando la strada giusta, Pier Luigi Bersani va dall'altra parte. A rincorrere Beppe Grillo.
Rompendo gli equilibri, accecato dall'antiberlusconismo, Bersani stravolge la natura stessa del Pd e si infila in uno schema senza futuro, senza prospettive, senza popolo. E questa strada, lungi da distruggere Berlusconi (anzi), distrugge l'Italia. Perché dà segnali spaventosi fuori dai nostri confini. Fino a quando, di fronte a questi comportamenti irresponsabili, di fronte a questa ubriacatura di Bersani, lo spread sarà tenuto sotto controllo dai soliti poteri forti? Abbiamo davanti un'Europa alle prese con i suoi errori e con la gestione dei problemi sociali che l'austerità cieca ha provocato. Come sempre, le istituzioni europee hanno risposto troppo tardi e troppo poco alla crisi. Al contrario, il presidente Berlusconi ha avuto fin dall'inizio le idee chiare su come reagire alle difficoltà dell'Eurozona. Ora in Europa convergono sulle sue posizioni anche gli altri leader europei, Juncker in testa. Ma andiamo per gradi.
A Crescita La riunione del Consiglio europeo del 14 e 15 marzo 2013 si è conclusa con l'impegno a promuovere in Europa la competitività, la crescita e l'occupazione, secondo 5 priorità: portare avanti un risanamento di bilancio differenziato e favorevole alla crescita; ripristinare la normale erogazione di prestiti all'economia; promuovere la crescita e la competitività; lottare contro la disoccupazione e le conseguenze sociali della crisi; modernizzare la Pubblica Amministrazione. Cinque punti che caratterizzano, da sempre, il programma politico e di governo del Popolo della libertà. Il fronte «pro-crescita, basta austerità» al Consiglio europeo è stato ampio. Solo una voce fuori dal coro: in barba a tutti, la solita Germania continua a rifiutarsi di adottare stimoli per contribuire a una ripresa interna che sarebbe di aiuto a tutta la zona euro.
Dalle conclusioni del Consiglio europeo emerge come la linea di politica economica fin qui seguita in Europa stia di fatto cambiando, per convergere sempre di più sulle posizioni da sempre portate avanti dal presidente Berlusconi. Al momento, però, sono solo parole. Altro sarebbe stato se si fosse dato il via libero esplicito alla «golden rule» proposta dal governo italiano, vale a dire lo scomputo degli investimenti pubblici produttivi dal calcolo del deficit degli Stati. Allo stesso modo, «un consolidamento di bilancio differenziato e favorevole alla crescita» è un impegno ancora troppo vago. Ben altro tenore avrebbe avuto l'offerta esplicita della possibilità di ricollocare l'obiettivo del pareggio di bilancio al 2014, che per l'Italia non dovrebbe avvenire come non raggiungimento di un obiettivo ma dovrebbe essere proposto dall'Europa come riconoscimento di una forza e affidabilità riconquistata, e quindi con un impatto di segno opposto sulle aspettative. Si darebbe, in questo modo, un segnale di una volontà di reazione alla congiuntura, che non significa allentamento di un programma di consolidamento fiscale ma di capacità di rimanere fuori dalla spirale greca di autodistruzione programmata. Significherebbe evitare una manovra correttiva per 14 miliardi di euro.
Infine, sarebbe stato opportuno porre l'attenzione e chiedere l'implementazione della previsione contenuta nel Six Pack, in base alla quale i piani di rientro definiti per gli Stati che superano la soglia del 60% nel rapporto debito/Pil devono tener conto dei fattori rilevanti dei singoli Stati e che, a tal fine, nel calcolo del rapporto debito/Pil si comprenda oltre al debito pubblico, anche quello di famiglie e imprese, come proposto dal presidente Berlusconi. Prendendo in considerazione l'indebitamento aggregato, l'Italia è seconda solo alla Germania (pari merito con la Francia). E sarebbe chiamata a uno sforzo di riduzione del debito pubblico ridotto almeno alla metà rispetto alle manovre del 3% annuo del Pil per 20 anni attualmente previste.
B Lavoro L'allarme è stato lanciato dalla Banca Centrale Europea nel bollettino di marzo 2013: «È particolarmente importante che i governi affrontino la disoccupazione, in particolare giovanile: sono necessarie ulteriori riforme dei mercati del lavoro per creare nuove opportunità di occupazione nell'Eurozona, promuovendo un'economia dinamica, flessibile e concorrenziale». Proprio come la stessa Bce aveva già chiesto al governo italiano con la lettera del 5 agosto 2011. Una nota maliziosa: alle richieste della Banca centrale del il governo Berlusconi ha risposto con l'articolo 8 del D.L. 138 del 13 agosto 2011 (noto come «manovra di agosto») in materia di sostegno alla contrattazione collettiva di prossimità. Al contrario, il governo Monti ha preferito adottare misure diverse. Il governo tecnico, infatti, ha prodotto una riforma del mercato del lavoro che ha avuto come unico effetto quello di inibire la propensione a fare impresa e ad assumere, in piena chiave anticiclica. E del tutto incurante delle richieste della Bce e degli impegni presi dal governo Berlusconi con il Consiglio e l'Unione europea. Anche sul fronte del mercato del lavoro, pertanto, le ricette del presidente Berlusconi erano quelle giuste.
C Banche È il punto su cui concentra l'attenzione il Fondo Monetario Internazionale, secondo cui permane la turbolenza sui mercati finanziari dell'Eurozona, in gran parte dovuta alla frammentazione del sistema finanziario e alla debolezza del settore bancario. Lo studio propone anche una soluzione: un sistema bancario unico europeo con un fondo comune di garanzia sui depositi, un sistema centralizzato di sorveglianza sugli istituti di credito e una regolamentazione uniforme dei fallimenti bancari. In estrema sintesi: unione bancaria. Facile a dirsi, ma difficile realizzarla. La Germania, infatti, ha acconsentito a rendere pienamente operativo e funzionante il nuovo supervisore unico bancario (stanti gli accordi attuali dovrebbe essere la Bce), ma non prima di marzo 2014. Questo comporta, tra l'altro, l'inoperatività di fatto del Meccanismo Europeo di Stabilità, che non potrà intervenire fino a quando non entrerà in vigore la vigilanza unica. Un cane che si morde la coda.
In Europa, tra i primi a chiedere con forza la rapida realizzazione delle 4 unioni (bancaria, economica, politica e di bilancio), come definite dal documento elaborato nel giugno 2012 dai presidenti Barroso, Van Rompuy, Juncker e Draghi, è stato proprio Silvio Berlusconi. Anche su questo tema, pertanto, come abbiamo già affermato con riferimento a crescita e lavoro, il presidente del Popolo della libertà ci aveva visto lungo e... aveva ragione!
Ebbene, gli italiani tutto questo lo hanno capito e lo hanno ben chiaro in mente. La lungimiranza di Berlusconi non ha pari in Europa. Per questo gli italiani lo hanno votato alle ultime elezioni. Per questo continuano a sostenerlo. È la democrazia. Ma tutto ciò non sembra interessare al Pd, che con protervia e arroganza pensa solo all'occupazione dei posti di potere, spostando sempre più a sinistra l'asse del partito. Non è di questo che ha bisogno l'Italia. Al nostro paese serve un governo forte, stabile, capace di prendere decisioni che ci consentano di uscire dalla crisi e di cambiare la politica economica, in Italia come in Europa, nel senso della crescita, del lavoro, dell'occupazione vera (e non assistita), di un sistema bancario che funzioni e che torni a fornire credito alle imprese. Non un programma basato sulla decrescita felice, su ideologie figlie dell'anticapitalismo, che elaborano ricette economiche di tipo depressivo e recessivo, contro le infrastrutture e che godono di si arrendono alla crisi piuttosto che affrontarla.
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