«Entravo dal cimitero di Albano, di notte. Ho attaccato la macchina fotografica a un albero, mimetizzandola con della corteccia. E poi, appena ho visto il Papa, ho scattato. Erano le 19. Tutte le sere a quell'ora Giovanni Paolo II faceva una nuotata». È il racconto di Roberta Hidalgo, la fotoreporter che - nell'estate del 1980 - insieme ad altri tre colleghi, riuscì a fotografare Karol Wojtyla in costume, nella piscina della residenza di Castel Gandolfo. Scatti milionari che fecero il giro del mondo: per la prima volta un Papa veniva mostrato in bermuda. Scatti proibiti del Papa settantenne in piena forma mentre faceva attività sportiva.
Quelli scatti riemergono a una settimana dalla canonizzazione del Papa polacco, il 27 aprile. La fotoreporter parla con il Giornale per raccontare quel giorno e per smentire quanto emerso recentemente, ovvero che le stampe dei negativi originali sono state ritrovate da un collezionista, lasciate in dono da un bibliofilo romano. «Non è vero. I negativi e le diapositive sono rimasti per vent'anni chiusi in una cassetta di sicurezza di una banca - afferma la Hidalgo - solamente noi quattro fotografi abbiamo in mano il materiale di quello scoop».
Ecco cosa accadde quel giorno.
«Si parlò di una piscina, blindatissima, costruita per il Papa a Castel Gandolfo. L'editore Angelo Rizzoli disse che sarebbe stato impossibile fotografarla. Da quel momento partì una sorta di sfida. Cominciai ad andare di notte a Castel Gandolfo, scavalcando muri, attraverso il cimitero di Albano, arrampicandomi sugli alberi. La prima volta che riuscii ad entrare nella zona controllata fu nel febbraio 1980. Ho fotografato la piscina vuota, grande, bellissima, tutta vetrata. Le prime volte andavo da sola, poi ho iniziato a lavorare in coppia, con Alfredo. E alla fine ci siamo trovati in quattro: io, Alfredo, Adriano e Luciano. Abbiamo inchiodato una macchina fotografica sugli alberi di fronte alla vetrata della piscina; l'abbiamo ricoperta di corteccia per mimetizzarla. A questa avevamo collegato un monitor e grazie a un telecomando scattavamo le immagini. Notti insonni, trascorse sintonizzata con la Radio Vaticana, e anche qualche rischio corso per ottenere quegli scatti».
Come apparve il Papa?
«Era il 18 luglio, ma abbiamo realizzato le foto in due tempi. Giovanni Paolo II era metodico, andava a nuotare alle 19. Prima di tuffarsi si faceva il segno della croce, poi iniziava con qualche bracciata e alla fine si andava a cambiare nello spogliatoio. Indossava un costume nero, a volte la cuffia. Era solitario, si strizzava il costume da solo, e poi si riaffacciava in piscina vestendo una tuta bianca. Foto umane, semplici, di una persona bellissima. Era un uomo di teatro, e tale si è dimostrato».
Cosa avete fatto con le foto?
«Le abbiamo stampate immediatamente e siamo andati a Milano, alla Rizzoli. A Mayer abbiamo chiesto 8 miliardi di lire. Ha rifiutato e così abbiamo contattato Rusconi che, dopo aver osservato gli scatti con interesse, andò dal Papa in persona e gli mostrò le foto, chiedendo se poteva pubblicarle. Wojtyla gli diede il permesso. E così vendemmo gli scatti inediti alla cifra di 300 milioni di lire, la maggior parte in nero, con l'esclusiva per l'Italia. Poco tempo dopo si ripresentò la Rizzoli ma si dovettero accontentare dell'esclusiva per l'estero. Dietro il ripensamento della casa editrice ci fu Licio Gelli: furono suoi gli altri 300 milioni di lire che la Rizzoli ci pagò. In totale abbiamo incassato 600 milioni di lire».
Che fine hanno fatto i negativi?
«I negativi e le diapositive sono rimasti per circa vent'anni nella cassetta di sicurezza di una banca, poi li abbiamo divisi fra noi quattro fotografi. Nessun'altro ha in mano il materiale di quello scoop».
Come è cambiata la vostra vita dopo quello scoop?
«I primi mesi sono stati stressanti. Avevamo i telefoni sotto controllo, eravamo pedinati e seguiti dagli agenti del Vaticano. Poi la nostra vita è continuata.
Eppure quegli scatti fanno ancora discutere.
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