Io «osservatore» del voto in Tunisia dove le donne sono elette per legge

TunisiChe si debba imparare qualcosa dai tunisini? Mi hanno invitato qui, nella terra di Annibale e di Sant'Agostino, a far l'osservatore per le elezioni presidenziali e legislative di domenica. Mi hanno sempre incuriosito questi misteriosi osservatori internazionali che vanno a monitorare in Afghanistan e in altri strani paesi, e che dovrebbero controllare anche le primarie del Pd nostrano, visto che pure lì volano accuse di brogli. Da noi si dice che quella tunisina sia una democrazia «protetta», meglio ancora «garantita», ma in realtà ci basta egoisticamente che non lascino partire carrette di clandestini e abbiano il polso fermo con gli integralisti, senza far troppi distinguo tra Ben Ali, Gheddafi o Mubarak. Beninteso, se volete scommettere su chi vincerà domenica sera, puntate tutto sul presidente in carica dal 1987 e sul suo partito, Rcd.
Però i tunisini tengono molto alle forme, e anche alla sostanza, della democrazia. Infatti hanno istituito un Osservatorio nazionale sulle elezioni che sta lavorando dall'inizio della campagna elettorale; e hanno invitato un nutrito gruppo di osservatori europei. Il vostro cronista, prima ancora di mettersi in viaggio sui monti e le campagne della Tunisia per vedere se l'esercizio del voto è garantito e protetto, e poi seguire lo spoglio delle schede lunedì, ha fatto intanto delle scoperte sorprendenti. In materia di par condicio e di quote rosa. Due temi che da noi tengono banco ormai da lustri, controversi e con soluzioni insoddisfacenti se non pessime. Sentite come fanno in Tunisia, e col vostro osservatore domandatevi se non sia il caso di imparare.
Abdelwahab Behi è avvocato, è stato presidente degli avvocati tunisini, ha fondato la Lega per i diritti dell'uomo in Tunisia, viene dal Mouvement des démocrates socialistes, partito di opposizione, e non può certamente dirsi uomo di Ben Ali. Che però, lo ha messo a capo dell'Osservatorio nazionale delle elezioni, dal 2004. Anche in Tunisia c'è una legge che garantisce la par condicio. Behi mi spiega che ci sono due canali televisi pubblici, Tv7 e Canal 21, due radio nazionali e una decina di radio locali anch'esse pubbliche. E mi mostra gli ultimi dati dei passaggi televisivi e radiofonici delle tribune elettorali su otto giorni. Il Rassemblement constitutionnel démocratique, il partito del presidente: 72 minuti e 43 secondi. Il Pup, socialisti: 71 minuti e 55 secondi. Il Pvp, verdi: 66 minuti e 59 secondi. Il Mds, quello di Behi: 68 minuti e 37 secondi. Ettajdid, i postcomunisti: 56 minuti e 58 secondi. L'Udu, nazionalisti: 67 minuti e 18 secondi. E avanti più o meno così, per un totale di 8 partiti di opposizione, più due liste di «indipendenti» (nel senso letterale, perché rifiutano ogni etichetta politica) che anch'esse non tifano per Ben Ali. Solo il Parti démocratique progressiste ha avuto 3 minuti, ma è perché, spiega Behi, a metà campagna «s'è ritirato dalla competizione, alcuni candidati hanno però voluto continuare, e quello è il tempo che spettava loro».
Avete fatto un po' di calcoli? Più o meno, ogni partito ha avuto lo stesso spazio, circa 8 minuti al giorno, perché l'accesso è regolato dal numero dei candidati, non dai voti delle elezioni precedenti, e ciò garantisce una parità di partenza. Ma sono soltanto 8 minuti al giorno per ogni partito, in una campagna elettorale che dura solo 20 giorni: non quel fiume logorroico che da noi sciaborda dalle tribune e invade talk show, tg ed ogni programma di intrattenimento, fino a stendere anche gli ascoltatori più pazienti.
Un'altra scoperta, che potrebbe andar bene anche da noi, se il Pd continuerà a farsi male. La legge elettorale tunisina garantisce alle liste di opposizione la quota minima del 25% dei seggi in Parlamento. Significa che se prendono più voti meglio per loro, ma alla peggio quei 10 gruppi potranno spartirsi 54 deputati su 214. E arriviamo così alle quote rosa, perché una riforma entrata in vigore quest'anno garantisce il 30% dei seggi alle donne. Con un meccanismo semplice, perché ogni lista può candidare chi vuole. Ma se un maschio prende più voti della donna che gli sta dietro, quella va in Parlamento al posto suo a coprire la quota femminile.
Già oggi la presenza femminile nelle istituzioni tunisine è superiore alle medie europee.

Sono il 27,7% nei consigli municipali, il 19% nel Senato, il 20% nel corpo diplomatico, il 20% nella Corte costituzionale, il 13,3% nel Csm, e nel governo ci sono 6 donne. Ben Ali, nel suo programma elettorale, si è impegnato a raggiungere il 35% di presenza femminile in tutte le istituzioni, entro il 2014. L'altra metà del cielo non manca, è il 60% di chi frequenta l'università.

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