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Iracheni in massa alle urne per lo storico voto

Anche i sunniti in fila per votare: «Non commetteremo un altro errore»

Gian Micalessin

Le urne si sono aperte alle sette di mattina e si sono chiuse come previsto alle 17. Dal Kurdistan a Bassora, da Najaf al triangolo sunnita gli iracheni decisi a votare, tra gli oltre 15 milioni d’iscritti alle liste, hanno potuto farlo senza problemi. Per dieci ore filate il referendum costituzionale si è svolto regolarmente trascinando alle urne circa il 61 per cento degli elettori sciiti e curdi e addirittura il 66 per cento di quelli sunniti. E questo per gli standard iracheni è già un successo. Ma non è il solo. I sunniti, per la prima volta dopo il boicottaggio delle elezioni parlamentari di gennaio, sono tornati a giocare un ruolo politico. Terroristi e guerriglieri sono invece rimasti rintanati nei loro covi e l’appuntamento col voto s’è trasformato in una delle giornate più tranquille dell’anno. Il bilancio registra tre soldati iracheni uccisi da un ordigno a nord della capitale e tre a sud, un sabotaggio che ha lasciato al buio e senz’acqua mezzo Paese e qualche bomba di mortaio intorno ai seggi. Bazzecole nel grande massacro iracheno. Bazzecole rispetto al centinaio d’attacchi e ai quaranta morti delle elezioni di gennaio. Bazzecole rispetto ai 90 morti dei primi tre giorni della settimana e ai 450 degli ultimi venti.
Un doppio centro se si pensa che la sicurezza è stata garantita esclusivamente dall’esercito iracheno appoggiato solo “esternamente” e solo ove “necessario” dalle forze della coalizione.
L’altro grande successo è stato il ritorno alla partecipazione politica del fantasma sunnita. Dove ha potuto quel venti per cento degli elettori ha guadagnato la strada dei seggi registrando un’affluenza record del 66 per cento. Forse lo ha fatto solo per bocciare la Costituzione, ma comunque sia ha scoperto l’importanza del voto. «Siamo qui per non commettere lo stesso errore di gennaio, per non offrire agli altri l’opportunità di controllarci», spiegavano ieri il 57enne Yassin Humadi e altri suoi concittadini in fila ai seggi aperti tra le rovine di Falluja. Uno schiaffo alle minacce di chi da giorni intima «state a casa» e tappezza le città di volantini in cui lo Zio Sam spinge centinaia di asini sunniti verso un’urna diventata bidone della spazzatura.
Per sapere se il doppio successo diventerà vera vittoria non basteranno i risultati attesi entro tre giorni. La vittoria del sì, l’approvazione di una Costituzione considerata dai sunniti iniqua potrebbero essere foriere di nuove divisioni, persino di una guerra civile. Soprattutto se curdi e sciiti non rispetteranno la promessa di votare immediate modifiche costituzionali dopo le elezioni parlamentari di dicembre. Insomma se non spazzeranno via il sospetto e le accuse sunnite di aver scritto una Costituzione per preparare la secessione e dividersi le ricchezze petrolifere.
La bocciatura della Costituzione, possibile se in tre delle quattro province in cui sono maggioranza due terzi dei sunniti avesse votato no, equivarrebbe, d’altra parte, a buttar via il bambino con l’acqua sporca. Senza l’entrata in vigore di una Costituzione, seppur difettosa, l’Irak continuerà a vivere alla giornata. A dicembre si eleggerà un altro Parlamento provvisorio e si nominerà un altro governo ad interim, in attesa che un’altra costituente riscriva un testo capace di mettere tutti d’accordo. Un’agonia senza fine per un Paese ridotto all’anarchia e sull’orlo della secessione.
In virtù di questo scenario qualcuno suggerisce che guerriglia e terroristi abbiano deliberatamente agevolato il voto sunnita puntando sull’anarchia generata da una bocciatura costituzionale. Resta il fatto che per Zarqawi e compagnia l’obbiettivo dichiarato era il sabotaggio del referendum. Dunque politicamente e militarmente il primo round segna una vittoria netta del governo iracheno e delle forze di coalizione. Risultato subito ribadito da George W. Bush che ieri ha definito un duro colpo al terrorismo questo nuovo «passo verso la democrazia». Il presidente Usa ha promesso che l’America non ripeterà gli errori del Vietnam. «Al Qaida s’illude di poter far fuggire l’America, ma si sbaglia di grosso. L’America questa volta non fuggirà e non scorderà le proprie responsabilità».

Largamente positivo anche il commento del ministro degli Esteri Gianfranco Fini: «Il voto è una grande vittoria per la comunità internazionale oltre che del popolo iracheno».

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