Le verità dell’Aiea ora fanno paura. A farlo capire, a 48 ore dalla divulgazione del nuovo rapporto dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica sul nucleare iraniano, ci pensa il ministro degli Esteri francese. In un’intervista rilasciata ieri Alain Juppé chiede d’evitare l’intervento militare per puntare invece su nuove sanzioni. «Possiamo ancora rafforzarle e far pressioni sull’Iran, dobbiamo fare il possibile - auspica il ministro - per evitare l’irreparabile, un intervento militare creerebbe una situazione totalmente destabilizzante». In queste ore tutta l’attenzione resta però concentrata sulle rivelazioni del nuovo rapporto atteso per domani.
Molti passaggi del documento saranno dedicati alle attività svolte dagli scienziati iraniani a Parchin, una base a trenta chilometri da Teheran, e a Fardow, un laboratorio bunker nel cuore di una montagna a nord della città santa di Qom.
La base di Parchin, a trenta chilometri da Teheran, sarebbe - secondo gli esperti dell’Aiea - il centro deputato per il concepimento della bomba. In quella base santuario - dove gli scienziati dell’Aiea non hanno mai ottenuto il permesso di entrare - gli scienziati iraniani lavorerebbero per mettere a punto una testata missilistica e il detonatore dell’ordigno. I sospetti dell’Aiea nascono dalla scoperta di un misterioso container d’acciaio grande quanto un autobus. Quella struttura sorta dal nulla e fotografata dai satelliti dentro una base in cui si sviluppano componenti missilistiche ed esplosivi ad alto potenziale sarebbe il laboratorio dove si perfezionano le fasi più complesse dell’atomica iraniana. Lì si studierebbe come trasformare in ogiva missilistica il meccanismo dell’ordigno e come spezzare, con l’impiego di esplosivo ad alto potenziale, il nucleo dell’uranio arricchito per innescare la catena della fissione nucleare. Nei lunghi tunnel sotterranei della base verrebbero inoltre simulati gli effetti di una esplosione nucleare, un passaggio fondamentale prima dell’assemblaggio e del primo vero test nucleare.
Fardo, l’altra sospetta culla dell’atomica iraniana, prende nome da un villaggio 60 chilometri a sud di Qom, la città santa degli ayatollah iraniani. Negli anni Ottanta grazie alla morte di 104 dei propri abitanti – su un totale di 2500 - nella guerra con l’Irak, Fardo si conquistò il primato di centro abitato con la più alta percentuale di martiri. Grazie a quel passato il nome di Fardo è stato scelto per battezzare i laboratori scavati nel cuore di una montagna non lontana da Qom, ma distante 80 chilometri dalla cittadina martire. Lì le compagnie di trivellazione dei Guardiani della Rivoluzione hanno scavato la roccia fino a 90 chilometri di profondità. Dentro quell’alveo sotterraneo, capace di resistere a qualsiasi bomba convenzionale, è sorto un laboratorio bunker rimasto segreto fino al 2009. A quel tempo la sua scoperta fece scalpore e venne annunciata con una conferenza congiunta da Barack Obama, Nicolas Sarkozy e dall’allora premier inglese Gordon Brown.
A due anni di distanza Fardo sta diventando il principale centro per l’arricchimento dell’uranio. Le autorità vi stanno traslocando la produzione concentrata finora a Natanz, allestendovi centrifughe di nuova generazione in grado d’accelerare la lavorazione. Le nuove centrifughe si limitano per ora a portare l’uranio al 20 per cento di arricchimento, la soglia ultima consentita per scopi scientifici. Ma per arrivare a quel 95 per cento, indispensabile per la fissione nucleare, basterebbero solo alcuni passaggi successivi nelle stesse centrifughe. «Questo gli consentirebbe – dichiarano preoccupate fonti della Difesa britannica citate dal Daily Telegraph - di tenere uranio arricchito al 20 per cento sotto una montagna per trasformarlo poi in materiale per uso militare». La prospettiva preoccupa molto anche Israele.
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