Politica

Islam, contro l’Ucoii la rivolta guidata da giovani e donne

C’è chi descrive l’Ucoii come una sorta di dittatura. Forse esagera o forse no. Di certo il clima di disagio è palpabile. I nomi dei cinque dirigenti in rotta con l’Unione delle comunità e delle organizzazioni islamiche in Italia non escono, nonostante l’articolo di ieri del Giornale. Ma il loro identikit diventa sempre più preciso. A ribellarsi contro il presidente Nour Dachan e il suo collaboratore Hamza Piccardo sono innanzitutto giovani e donne. Una fonte molto vicina all’associazione ci sussurra due nomi. Il primo è quello di Yassin Lafram membro del Consiglio di amministrazione dell’Ucoii quale responsabile del Dipartimento Diritto allo Studio. Il rinnovamento lo ha cercato davvero a partire dai Giovani musulmani d’Italia; ma il suo entusiasmo è svanito rapidamente. Era troppo intraprendente, autonomo, critico per una dirigenza esasperatamente verticistica.
La nostra fonte ci aveva avvertito: «Non ammetterà mai». Il colloquio telefonico con Lafram è emblematico del clima che si respira nell’Ucoii. «Non dovete rivolgervi a me, ma al presidente», dunque con Dachan in persona. «Solo lui è autorizzato a parlare», precisa. Capito? L’Ucoii ha un portavoce: è il gentilissimo Izzedin Elzir. Ma in questi frangenti conta solo quel che dice il Grande Capo; anche perché, dopo le rivelazioni di ieri del Giornale, il vertice ha aperto la caccia ai cinque dissidenti. Proviamo a insistere, ma Yassin Lafram, sempre più a disagio, sfugge: «A me non risulta che ci sia una spaccatura». Poi chiude repentinamente: «Non voglio dire niente, non ne ho la competenza», lasciando in noi l’impressione di un’associazione avvolta nella segretezza, sebbene ambisca a rappresentare tutti i musulmani d’Italia. E Dachan parla, ma solo per liquidare Habib Sghaier - il presidente dell'Associazione comunità stranieri in Italia, che ci ha svelato i malumori all’interno dell’Ucooii - come «un soggetto non credibile». Lapidario. Nel merito non entra nemmeno.
L’altro nome, abbastanza noto, è quello di un’italiana convertita: Patrizia Khadija Dal Monte. Fino a pochi mesi fa era responsabile delle Pari Opportunità, ma ora non appare più nella lista dei membri del Consiglio d’amministrazione, pubblicato sul sito dell’Ucoii. «È vero: ho presentato la lettera di dimissioni; ma non per ragioni politiche, bensì per questioni organizzative personali», dichiara al Giornale. Proviamo a insistere, ma lei nega, senza imbarazzo: «Resto nell’Ucoii e membro della Shura, l’assemblea consultiva». Insomma, nessuna polemica. Ufficialmente. In realtà sono rare le donne entusiaste di un’associazione palesemente maschilista. Forse non è un caso che la Dal Monte fosse l’unica dirigente e che ce ne siano solo nove tra i cinquanta membri della Shura. Idealiste senz’altro; sovente un po’ ingenue. Al contrario di Dachan e di Piccardo.
Il primo guida l’Ucoii da 15 anni ininterrottamente e non ha intenzione di abbandonare. Più che un presidente sembra un califfo. Piccardo è l’altro intramontabile. Le polemiche sulla poligamia lo hanno costretto a un formale passo indietro. Non è più portavoce, né segretario; eppure continua a comportarsi come se lo fosse. Non esita a partecipare ai campi antiimperialisti, inneggiando «ai giovani, compagni di strada e di lotta, che hanno messo a fuoco le periferie francesi». Anche Piccardo attacca Sghaier denunciando «una campagna di intossicazione eterodiretta».

Lui può parlare; gli altri, anche se dirigenti, no.

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