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Israele al voto, martedì si sceglie: destra favorita nel clima di tensione

di Fiamma Nirenstein

GerusalemmeOre di silenzio e di attesa: martedì Israele vota; il caldo, la siccità che succhia via il lago Kinneret e chiude i rubinetti, l’eco della guerra di Gaza, le notizie dal Cairo sulla possibile tregua e da Damasco su Gilad Shalit ricordano a ogni istante che in Medio Oriente un voto non è un voto, un Primo ministro non è un Primo ministro. Possono essere la chiave di volta della vita o della morte, la lampada di Aladino che funziona o si inceppa di fronte al pericolo genocida iraniano, al terrorismo di Hamas e degli hezbollah, alla disapprovazione del mondo quando Israele si difende. Per questo c’è tanta incertezza e trepidazione e tutto può accadere: affidare la propria vita è una scelta incerta soprattutto quando i programmi dei partiti, sovrastati dalla realtà circostante, promettono tutti un atteggiamento deciso, un piano per uscire dalla trappola dell’odio jihadista e della guerra. Il Likud di Bibi Netanyahu è dato fra i 26 e i 28 seggi; a ruota segue Kadima di Tzipi Livni, fra i 23 e i 26. Poi fra la sorpresa generale, invece del Partito laburista di Ehud Barak, che al quarto posto conta fino a 16 seggi, troviamo Avigdor Lieberman, detto Yvette, con il suo Israel Beitenu, fra i 17 e i 19. Poi vengono il partito religioso Shas con 10 seggi e la sinistra radicale del Meretz, con 10. Poi i pensionati, i partiti religiosi nazionalisti, i partiti arabi. Una coalizione di destra potrebbe arrivare a 65 seggi, e una di sinistra a 55, anche se Netanyahu ripete di volere un governo di unità nazionale.
I quattro partiti principali non sono lontano l’uno dall’altro, anche se negli ultimi giorni si sono sparati a palle incatenate. In economia, Bibi sostiene una linea più liberista, e Barak lo accusa di rispecchiare «il capitalismo più spietato». Gli altri sono per un moderato welfare state, compreso Yvette Lieberman, qui più a sinistra di Tzipi Livni. Ma passiamo subito alla linea strategica e diplomatica che interessa tutto il mondo: l’opinione pubblica internazionale nella prospettiva della vittoria del Likud già disegna una colpa collettiva “di destra” nei confronti del processo di pace che tutti desiderano. Netanyahu pone al centro la questione dell’Iran, spera in sanzioni più serie che costringano gli ayatollah a bloccare le strutture atomiche, precisa che Israele comunque non ne permetterà l’acquisizione. Vuole che Hamas lasci il potere. Promette confini sicuri, compresi la valle del Giordano e il deserto della Giudea, però dice che non vuole dominare un singolo palestinese e che vuole arrivare a due Stati senza mettere in pericolo la sicurezza israeliana. Quindi vuole aiutare l’economia dei palestinesi di Abu Mazen perché creino lo sfondo credibile per un trattato. Deciderà solo quando sarà sicuro delle intenzioni palestinesi di lasciare gli insediamenti. È deciso a combattere il terrorismo. Gerusalemme, non verrà divisa.
Tzipi Livni vuole creare un fronte internazionale devoto allo scontro economico e diplomatico con l’Iran e deciso a detronizzare Hamas; con i palestinesi, è pronta a rinunce in tempi brevi. Crede negli interessi comuni con i Paesi arabi moderati dell’area. Vuole distruggere il potere politico di Hamas. Gli insediamenti: anche lei dopo l’esperienza di Camp David e di Gaza non ha fretta di smantellare, ma si tiene più aperta di Netanyahu. Crede nella prospettiva della pace con la Siria; da ministra degli Esteri, è favorevole alla mano americana ed europea nell’area, come si è visto dalla sua adesione al processo di Annapolis.
Yvette Lieberman, la sorpresa di queste elezioni, viene attaccato da ogni parte con l’accusa di essere razzista, violento, prosecutore del rabbino razzista Kahane. Ma Lieberman, che è laico ed esplicitamente a favore del matrimonio civile, respinge ogni accusa. Il suo partito nacque auspicando uno scambio territoriale del Triangolo, dove vive gran parte degli arabi palestinesi, con zone a densità ebraica; ha abbracciato lo slogan «niente lealtà, niente cittadinanza» perché durante la guerra del Libano (dove si ebbero autentici movimenti di solidarietà e di spionaggio a favore degli hezbollah) e durante la guerra di Gaza si è aggravato, con la crescita dell’integralismo islamico, il rifiuto della legittimità stessa dello Stato d’Israele, con manifestazioni di odio. Importante: per lui Israele dovrebbe esser parte dell’Unione europea e della Nato. Ha un programma sociale molto largo nel campo della salute, che deve essere garantita a tutti.
Il Labor di Ehud Barak, il soldato più decorato di Israele, vuole l’isolamento internazionale dell’Iran, combatterà il terrore con molta forza, vede l’iniziativa saudita come una base di negoziato per una pace regionale da raggiungere entro due anni. Vuole trattare con la Siria, che deve però rivedere i rapporti con l’Iran e il terrore ospite a Damasco.
Infine: per tutti in questo momento è in prima linea il ritorno a casa di Gilad Shalit: le ultime notizie lo danno probabile, e nessuno si tirerà indietro di fronte alle durissime condizioni di Hamas. Perché? Perché non c’è famiglia israeliana, in questa società che combatte ma mette la vita al primo posto, che potrebbe altrimenti accettare la loro leadership.
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