Italia in coda, meno male

A volte una semplice occhiata ad una smisurata coda di automobili (di cui molte di grossa cilindrata), ansiose di giungere ai luoghi di villeggiatura, oppure ad una fila al check-in dell’aeroporto, può essere più efficace per comprendere la situazione economica di qualsiasi dato stiracchiato alla bisogna. Intendiamoci, non vogliamo certo eccedere in semplicismo o nella opposta retorica del «ristorante pieno» (ce ne sono di lussuosi e sempre pieni anche a Calcutta), ma se vogliamo fare un’analisi onesta e che possa essere di una qualche utilità per la gestione dell’emergenza, dobbiamo renderci conto che in Italia le masse sono state toccate dalla crisi solo marginalmente. Ovvio che questa considerazione possa suonare beffarda a chi ha perso il lavoro o a chi ha dovuto chiudere bottega, purtroppo è il difetto dei discorsi generali, ogni giorno ha i suoi ammalati e i suoi feriti anche se nel complesso tutto va bene. Con questo dovuto distinguo deve essere chiaro che la crisi ha creato in Italia un disagio «di nicchia», magari amplificato da un effetto panico, evidente soprattutto nel primo trimestre, che ha però lasciato inalterato il reddito disponibile di larghissime fasce di popolazione. I motivi di tutto ciò sono stati ampiamente discussi e i conti si fanno in fretta. Gli statali (posto sicuro e in molti con recenti aumenti contrattuali) sono circa quattro milioni includendo i lavoratori degli enti statali «de facto» come le poste e le ferrovie. I titolari di pensione (penalizzati dall’inflazione ma favoriti da uno scenario ad inflazione zero come l’attuale) sono 17 milioni, i lavoratori dipendenti sono circa 18 milioni e hanno una legislazione di forte tutela contro i licenziamenti. Anche considerando le sovrapposizioni fra le categorie appare chiaro come il numero degli italiani che non ha visto il proprio reddito mutare è molto ampio. Per chi volesse divertirsi a fare le percentuali a spanne sui 60 milioni di italiani, tenga conto però che, ad esempio, le casalinghe sono quasi nove milioni e i minorenni sono 11 milioni. Il conto esatto preferisco non farlo perché in realtà questi dati non tengono conto dell’indotto «personale»: se ad esempio immaginassimo un paesino con solo la scuola, il comune, il medico, vigile, carabiniere, ufficio postale, stazione del treno, qualche dipendente pendolare, parrocchia e casa di riposo, è probabile che anche i piccoli dettaglianti e autonomi in genere non avranno ricadute sul loro giro di affari, perché il reddito dei loro «clienti tipo» non è variato. Senza contare che molti settori importanti per l’Italia come il turismo popolare, l’alimentare e molte produzioni di nicchia non hanno subito particolari conseguenze, con virtuosi casi di recupero di quote di mercato, approfittando delle difficoltà di alcuni colossi stranieri. Ben diversa è la situazione all’estero, dove tante imprese e tante famiglie stavano facendo il passo più lungo della gamba esagerando con il debito. Basta un’occhiata al sito recessionwire.com, una specie di rassegna stampa mondiale sugli effetti della crisi, per rendersi conto della differenza. Nei titoli si possono leggere dati che indicano un chiaro impatto di massa, come ad esempio negli Stati Uniti il pauroso 50% per molti mesi del totale delle transazioni immobiliari derivanti da vendite da pignoramento, fino al crollo del numero degli Inglesi in vacanza o, sempre in Gran Bretagna, all’impennata dell’uso dei bus e dei cibi economici fatti in casa.

Non ci stancheremo di dire che le nostre rigidità ci hanno indubbiamente protetto almeno in parte, ma bisognerà metterci mano profondamente, se non vogliamo che questa tutela si muti in debito e zavorra di fronte alla nuova crescita. Comunque per una volta almeno non imprechiamo se finiamo in coda. Dovremo preoccuparci davvero la volta che non ci sarà nessuno per strada.
posta@claudioborghi.com

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