RomaSono appena tornati da una trasfertona a New York i vertici Rai (Garimberti, Mazza, Milano, Andreatta, Veronesi, Gesualdi e via discorrendo). Cera da piazzare, a una ventina di buyers internazionali, la fiction allitaliana e per questo ai piani alti di Viale Mazzini si sono inventati la «Fiction Week», rassegna promossa dalla tivù pubblica (soldi nostri) per mandare oltre i confini europei i prodotti made in Italy. Roba forte? La solita: gialli di routine (Crimini, con lispettore Campagna), pseudo-neorealismo tv (Little Dream), ottocentesche ruberie tricolori (Lo scandalo della Banca Romana), un pizzico di Grandi Biografie (il politicamente corretto Enrico Mattei, con Massimo Ghini che passa dal cinepanettone alle morti bianche con identica espressione), le Br (Il sorteggio, con lormai iconico Beppe Fiorello) e la questione ebraica (50 italiani e I diari di Anna Frank).
Fin qui, niente di anomalo: la grande tv insegue il cinema e abbiamo fatto il callo agli sprechi in nome e per conto del Bel Paese (vuoi mettere un intrigante face-to-face tra il Presidente Rai Paolo Garimberti e Paul Shapiro della Bbc, al posto duna videoconferenza su Internet?).
Il fatto è che dalle parti del cavallo morente (mai scultura risultò più emblematica) si riempiono la bocca di concetti quali servizio pubblico e funzione culturale della Rai, contrapposti alle tivù commerciali, ma poi scopri che l'eccellenza, quella che potrebbe diffondere la nostra immagine migliore allestero, resta al palo da anni. E dopo che la tv di Stato, nel 1994, ne ha comprato i diritti dantenna, per una cifra pari ai tre milioni di euro di oggi. Si tratta del kolossal Roma. Imago Urbis, quindici film sullimmagine di Roma - città unica al mondo, dove si sono formate le idee di Stato, religione, chiesa, storia e legge - visibili nella Sezione darte romana del Metropolitan Museum of Art di New York, ma non in Italia: la Rai ha dimenticato tutto in archivio.
Unidea nata negli anni Ottanta, con un comitato scientifico di dodici accademici dei Lincei, con legida della presidenza della Repubblica Italiana, coprodotta dalla Trans World Film e dalla Rai e girata in 24 Paesi e tre continenti. Nel 1994 ci fu una Mondovisione al Pantheon, con Scalfaro, Cossiga e latinisti insigni a lodare quella serie, fotografata da Vittorio Storaro (tre premi Oscar), messa in musica da Ennio Morricone, con la regia di Luigi Bazzoni. Poi? Puff.
«Sono molto rammaricato che unopera così grande, concepita in tempi così lontani, non veda la luce. Non fossaltro per rientrare delle spese», dice immalinconito Carlo Lizzani,il regista che a ottantasette anni è uno dei pochi ancora in piedi di quel pool scientifico ruotante intorno a Imago Urbis (Giulio Carlo Argan, Ettore Paratore, Paolo Volponi sono scomparsi).
«Eppure al momento la Rai fa ascolti con rubriche come La Storia siamo noi. Non si potrebbe trovare uno spazio? È indubbio che ci sia stata unemarginazione dei filmati. I quali avevano un livello alto, dal punto di vista culturale». Magari si obietterà, erroneamente, che secondo molti la cultura non fa ascolti... «Nei mezzi di comunicazione, in generale, domina questottica, profondamente sbagliata», risponde Lizzani, che non desidera attaccare la Rai, con la quale ha rapporti di lavoro ma che ricorda con rammarico: «Quanti progetti di fiction culturali ho presentato, invano! Parlo de Le confessioni di un italiano, da Ippolito Nievo. E la Rai, proprio lei, dovrebbe avere una missione culturale. Avevo proposto una fiction su Cicerone, visto come un avvocato alle prese con i problemi legali di sempre: qualcosa di attuale e moderno».
Possibile che non ci sia nulla da fare? «Purtroppo tutti, in Rai, mi sembrano livellati dalla ricerca dellovvio - osserva il regista di Achtung, banditi! -. Lancio un appello a tutti, anche alla tivù commerciale. Del resto, io stesso ho potuto pubblicare la mia autobiografia da Einaudi, costola della Mondadori: cè spazio anche per la cultura, oltre che per il commercio.
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