L’algida Tilda Swinton freme per il bimbo che ha sequestrato

da Berlino

Sandrine Bonnaire e Susanne Bier si sono dimesse dalla giuria ancor prima dell'inizio della Berlinale? Ieri - più corretta ma non meno originale - Tilda Swinton è arrivata all'hotel Hyatt, cuore del Festival, per presentare il film in concorso da lei interpretato - Julia di Erick Zonca - e ha colto l'occasione per definire «falso che il film si ispiri a Gloria di John Cassavetes». Nulla di strano, se la precisazione fosse nata dalla maliziosa domanda di un giornalista; invece è derivata da quanto scrive il catalogo del Festival su indicazione dei produttori dei film!
Altissima, capelli incendiati di rosso, la Swinton viene dalla buona borghesia inglese: ne ha la compostezza, quando appare in pubblico; in privato ne ha la disinvoltura, quando si divide serenamente fra marito e amante. In Julia interpreta però un personaggio per nulla sereno: una promiscua alcolizzata della piccola borghesia americana, che rapisce un bambino (Aidan Gould) per il riscatto, ma poi gli si affeziona.
Una delle regole per gli attori è: mai recitare accanto a un bambino o a un cane, non si è mai bravi come loro. Will Smith ne ha fatto le spese col cane in Io sono leggenda; la Swinton lo sconta qui col piccolo Aidan Gould. Occorreva infatti trovare «un bambino idoneo al ruolo di micro-adulto», come ieri ha raccontato la stessa Swinton. E in questo Gould s'è rivelato perfetto, più in conferenza stampa che nel film, dove appare all'età di nove anni (ora ne ha undici): poche volte si è visto un caso così lampante - e brillante - di bambino prodigio, categoria raramente simpatica.
La Swinton invece doveva essere nel film un'adulta infantile. E lei ce l'ha messa tutta. Ma fra naturalezza del piccolo Gould, che è se stesso, e recitazione della grande Swinton vince logicamente la prima. Zonca - regista della Vita sognata degli angeli, che nel 1997 valse il premio per l'interpretazione del Festival di Cannes a Elodie Bouchez e Natacha Régnier - se ne dev'essere accorto, se ieri ha elogiato la sua attrice, spiegando che lui l'ha obbligata «a comportarsi come un'italiana, gesticolando».
Perché un regista francese prenda un'attrice inglese per un film recitato in americano e ambientato fra California e Messico resta oscuro. Il fatto che il film - girato nel 2006, come ha rivelato il piccolo Gould - spunti solo ora dice poi che la sua vicenda distributiva non sia delle più facili. In realtà, più che un poliziesco, Julia è un film sociale. Se non accenna al Muro costruito nel 1961 a cento metri da dove ora sorge il palazzo del cinema, mostra quello sorto più recentemente lungo la frontiera col Messico per ostacolare l'emigrazione clandestina negli Stati Uniti. Insomma, la vicenda di Julia pare un capitolo rimasto staccato di un altro film da festival, il temibile Babel di Inarritu.

E quando l'auto della Swinton sfonda il muro (ma è di cartone?) di frontiera, lo fa nella direzione sbagliata: verso il Messico. «Ma è davvero la direzione sbagliata?» - ha commentato lei in conferenza stampa, dubitando dell'intelligenza dei disgraziati che ogni giorno vogliono varcar quella frontiera per raggiungere, almeno, San Diego.

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