L’ALTRA ITALIA

Fino a qualche anno fa, il secondo comma dell’articolo 132 della Costituzione era roba da professori e assistenti sadici all’esame di diritto pubblico. Quelli che facevano la domanda per la lode dopo il 30 o quelli che facevano la domanda per mandare a casa il malcapitato esaminando. Dice, il 132: «Si può, con l’approvazione della maggioranza delle popolazioni della Provincia o delle Province interessate e del Comune o dei Comuni interessati espressa mediante referendum e con legge della Repubblica, sentiti i Consigli regionali, consentire che Province e Comuni, che ne facciano richiesta, siano staccati da una Regione ed aggregati ad un’altra». Ma, per l’appunto, si trattava quasi di un’ipotesi di scuola, di un gioco accademico, praticamente di uno di quegli articoli vigenti nella suprema Carta, ma di fatto caduti in desuetudine. Un’altra chicca da club dei costituzionalisti. Da circolo delle note a piè pagina, da uomini chiamati cavilli. Poi, il 29 e 30 maggio 2005 la rivoluzione.
Mi scuso anticipatamente perché sarò un po’ barboso, con una lunga teoria di nomi, cifre e percentuali. Ma è sempre meglio che leggere il resoconto di una conferenza stampa di Prodi o un dibattito sul futuro del partito democratico. E ha il vantaggio di farci viaggiare sulle cartine geografiche, trasformando questa pagina in una specie di atlante. Atlante al contrario. E fuori dal Comune. Con e senza la maiuscola.
Fine maggio 2005, si diceva. Dai e dai, a colpi di migliaia di studi, riunioni, fotocopie e carteggi, i cittadini di San Michele al Tagliamento - estremo Comune della provincia di Venezia che sognava il Friuli-Venezia Giulia - han fatto uscire l’articolo 132 dalla Costituzione e l’han portato nelle urne. Ma il gruppo di arditi guidati da Francesco Frattolin - il coordinatore dell’«Unione Comuni italiani per cambiare Regione», che ha anche un sito internet con l’indirizzo: www.comunichecambianoregione.org, non è che la sintesi sia la loro dote principale - non ce l’ha fatta. Complice il quorum altissimo e l’alta percentuale di italiani all’estero di San Michele, i favorevoli sono stati solo il 44,47 per cento. Quindi, quelli di San Michele al Tagliamento sono riusciti ad entrare nei libri di storia per aver indetto il primo referendum ex articolo 132 della Repubblica Italiana, ma non in quelli di geografia. E sono stati condannati al Veneto.
Qualche mese dopo, 30 e 31 ottobre 2005, sempre dal Veneto è partita un’altra spinta separatista. Ma, questa volta, l’oggetto dei desideri si è spostato dal Friuli al Trentino-Alto Adige. Lamon, piccolo Comune montano in provincia di Belluno, ha scelto la via del referendum per beneficiare dei privilegi delle Regioni a Statuto speciale. E, a loro, è andata bene: 57,15 per cento di cittadini favorevoli. Bene nell’urna, intendiamo. Visto che poi il consiglio regionale del Trentino ha fatto sapere di non gradire i nuovi concittadini. E da lì è iniziato un rimpallo di leggi, discussioni, commi e postille che non ha ancora fatto chiarezza legislativa sul futuro di Lamon.
La primavera successiva referendum come se piovessero. Il 26 e 27 marzo 2006 scoppiò in Veneto, sempre all’estremo lembo della provincia di Venezia, un’improvvisa epidemia di voglia di statuto speciale. Ma, sempre complici gli italiani all’estero, Pramaggiore si fermò a un quorum del 44,6 per cento; Teglio Veneto al 43,4 per cento e Gruaro al 46 per cento. Tutti condannati al Veneto. Andò meglio invece a Cinto Caomaggiore, secondo Comune della storia d’Italia a superare abbondantemente il quorum con un 55,58 per cento di cittadini favorevoli al Friuli. Ma, al momento, cambiando il quorum il risultato non cambia: il ministero dell’Interno non ha ancora presentato il disegno di legge che dovrà essere approvato dal Parlamento per ratificare il passaggio. E, anche Cinto Comaggiore come Lamon, per ora, è ancora in Veneto.
Due mesi e mezzo e nuova svolta storica. L’11 e 12 giugno 2006 un Comune, Savignano Irpino, votò per la prima volta per passare da una Regione a Statuto ordinario, la Campania, a un’altra Regione, ma anch’essa a Statuto ordinario: la Puglia. Per la precisione, i cittadini chiedevano la secessione da Avellino e l’annessione a Foggia. Ma, complice il 27 per cento di immigrati residenti all’estero, il quorum si è fermato al 39 per cento. E Savignano Irpino in Campania.
Nuova pioggia di sì, con un quorum del 67,95 per cento dei cittadini (e addirittura il 95,26 per cento di sì nelle urne) l’8 e 9 ottobre dello scorso anno a Sovramonte, emulo dei vicini di Lamon e smanioso di lasciare il Veneto e Belluno per andare in Trentino. Così come, negli stessi giorni, è passato in carrozza il referendum per portare Noasca dalla provincia di Torino alla Regione Valle d’Aosta. Ma, così come i trentini e gli altoatesini, anche il presidente valdostano Luciano Caveri non gradisce i nuovi ospiti ed ha negato l’accoglienza. Eppure, nonostante questa scortesia, c’è già la fila di Comuni in Val Soana che vogliono passare il Rubicone o, più semplicemente, la Dora: Valprato Soana, Ronco, Ribordone e Carema promettono battaglia per andare verso Pont Saint Martin, nuova colonna d’Ercole di un futuro radioso. Valdostani permettendo.
Il 17 e il 18 dicembre dell’anno scorso, poi, gli elettori di sette Comuni della Provincia di Pesaro e Urbino che sognavano Rimini hanno fatto il regalo di Natale a costituzionalisti e cultori della materia. Perché si sono inventati il «referendum di gruppo». Che, intendiamoci, in Costituzione non c’è. Ma, fra le pieghe della legge è molto logico: Calsteldeci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli (credetemi, è il posto più bello del mondo), Sant’Agata Feltria, San Leo e Talamello - che tradotti in due parole sono l’Alta Valmarecchia - si sono proposti tutti insieme per passare dalla Regione Marche alla Regione Emilia-Romagna. Circostanza più che condivisibile, soprattutto considerando che il resto della vallata è già in provincia di Rimini e che, per andare nelle Marche, occorre passare dal circondario di Rimini. Il referendum di dicembre era una sorta di roulette russa: tutti i paesi dovevano ottenere il quorum della maggioranza assoluta degli elettori a favore della proposta. Bastava uno contrario e saltava il banco. Risultato: quorum strasuperato, con percentuali variabili dal 63,77 per cento di Talamello al 71,24 per cento di Pennabilli (che, anche in Romagna, resta il posto più bello del mondo).
Il lavoro di gruppo ha funzionato talmente bene che otto comuni dell’Altopiano di Asiago pensano di seguirne l’esempio e voteranno probabilmente a maggio tutti insieme per passare da Vicenza e dal Veneto a Trento e al Trentino. Si tratta di Asiago, Conco, Enego, Foza, Gallio, Roana, Rotzo e Lusiana. Poi, potrebbe toccare a Sassofeltrio, anch’esso affascinato dalla Romagna più che dalle Marche e a Cesiomaggiore e Rocca Pietore, che vorrebbero passare da Belluno al Trentino.
Poi, c’è chi pensa in grande e sogna - anche in Parlamento - proprio nuove Regioni, dalla Romagna autonoma (e questa è una cosa seria, che unificherebbe tutto quello che va da Imola alla Valmarecchia e alla Valconca nelle Marche, assorbendo anche i tre Comuni toscani del Basso Mugello), al Molisannio che segnerebbe il trionfo di Clemente Mastella e delle sue rivendicazioni sannite, fino alla Lunezia che comprenderebbe la Terra di mezzo che sta fra Parma, Lucca e La Spezia. Il tutto, però, stavolta, a norma del primo comma dell’articolo 132, quello sulla creazione di nuove Regioni.

Nuovi cavilli, nuove note a margine, nuovi sadismi di professori di diritto.
«Rovesceremo l’Italia come un calzino» disse un giorno un magistrato. Non capitò. Ci stanno riuscendo i paladini dei referendum geografici.

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