Roberto Fabbri
Il «banchiere dei poveri»: che altro poteva fare per meritare il Nobel per la pace un economista nato nel Bangladesh, il Paese che della povertà è un simbolo? Fin da quando nel 1971 conquistò lindipendenza dal Pakistan, cessando di esserne lanacronistica provincia orientale, ogni volta che in Occidente si è parlato di questo Paese è stato per la sua miseria e per le sue disgrazie: catastrofiche alluvioni, cicloni, carestie, epidemie, che regolarmente mietono vittime a decine di migliaia a causa delleccezionale sovrappopolazione.
Chi è meno giovane ricorda allinizio degli anni Settanta uno storico «Concerto per il Bangladesh» organizzato dalla buonanima (in tutti i sensi) di George Harrison: il Beatle induista raccolse i grandi nomi del rock di allora per gettare una benefica goccia nel deserto di un giovane Paese (peraltro musulmano) che sembrava esser nato troppo povero per sopravvivere. Altri gesti umanitari si sono susseguiti negli anni, senza poter sottrarre il Bangladesh al suo destino di miseria. Muhammad Yunus, il «banchiere dei poveri», fece di più e meglio: diede sostanza al detto secondo cui «se regali a un uomo un pesce lo sfami per un giorno, ma se gli insegni a pescare lo sfami per la vita», e mise al servizio del suo Paese il suo sapere di economista e la sua altruistica fantasia.
Nato nel 1940 a Chittagong, il principale centro economico del suo Paese sul golfo del Bengala, Muhammad era il terzo di quattordici fratelli. Si laureò in economia nella sua città e negli anni Sessanta emigrò negli Stati Uniti, dove fu anche professore in due università del Colorado e del Tennessee. Quando nel 1972 tornò a Chittagong lo fece per diventare capo del dipartimento economico dellUniversità. Da allora dedicò la sua vita a progetti per sollevare dalla miseria le immense folle di diseredati del suo Paese, e non solo del suo. Per aiutare i poveri Yunus non crede nelle elemosine («Mi fa male al cuore, ma ai mendicanti non do mai nulla», ha detto una volta) né nelle scorciatoie violente delle rivoluzioni proletarie. La sua strada lha trovata trentanni fa, quando inaugurò nel miserabile villaggio contadino di Jobra lesperimento di una banca rurale che prestava piccole somme di denaro (anche solo 50 o 100 dollari) a interessi bassissimi a persone povere intenzionate ad avviare piccole attività economiche: comprare una mucca o una bufala per produrre formaggio, ad esempio.
La storia ha aspetti commoventi. Nel 1974, camminando tra le stradine di Jobra, Yunus incontrò Sufia Begum, 21 anni, madre di tre bimbi, con le mani già rese callose dal bambù che intrecciava per realizzare panchetti. Riceveva 5 taka (pari a 9 centesimi di dollaro dell'epoca) per ogni pezzo: di questa somma le rimanevano solo 2 cents, gli altri sette, raccontò Sufia al banchiere, doveva darli a un intermediario. «Mio Dio, pensai, questa donna è diventata schiava per cinque taka», raccontò anni dopo il banchiere. Nei giorni seguenti, Yunus e i suoi studenti fecero un sopralluogo a Jobra e scoprirono che 43 abitanti avevano 856 taka (circa 15 dollari) di debito. «Non aspettai neanche un attimo. Presi 15 dollari e dissi loro che ora potevano liberarsi. Potevano restituirmeli quando avessero avuto le possibilità. L'idea era che con quei soldi quelle persone potessero comprare i materiali per lavorare e liberarsi dei mediatori».
In un anno, un po al giorno, i 43 abitanti di Jobra restituirono a Yunus gli 856 taka. Nacque così, nel 1983, la «Grameen Bank» (grameen in bengalese vuol dire contadino), tuttora specializzata nel microcredito. Una banca che oggi nel Bangladesh ha 2.
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