Roma

L’arte? È in continua evoluzione

Il carattere effimero delle opere sottolinea la partecipazione dell’artista al processo evolutivo

Fedora Franzè

Il Macro apre la stagione autunnale con le installazioni di Wolfgang Laib, artista tedesco di fama internazionale che sin dagli anni Settanta compie un lavoro di ricerca personale ed estetica rivolta a trovare una dimensione spirituale nel contatto con l’ambiente naturale. Viaggiando per la Turchia, l’Iran, l’Afghanistan, l’India, dove ritorna molte volte, Laib scopre un rapporto tra creatività individuale e mondo naturale che passa piuttosto attraverso la sensibilità di atti minimi.
Le opere, in mostra fino al prossimo 9 gennaio 2006, rappresentano vari cicli a cui l’artista si è dedicato nel corso della sua attività: le Pietre lattee, i Quadrati di polline, le Case di riso, le Barche di cera d’api, le Scale di legno.
Il passaggio dalle prime opere, in marmo bianco candido associato a latte o a riso, al nero della lacca birmana delle scale appoggiate alla parete dell’ultima sala, sembra un’intima rivoluzione ma nella dimensione quasi extra-temporale dell’arte di Laib è solo un altro modo di sondare i punti di contatto tra geometria (del pensiero e della natura) e anima.
La lastra di marmo che compone l’installazione intitolata Milkstone è leggermente concava e contiene in superficie del latte fresco (sostituito non appena si guasta). L’artista tenta di risolvere in conciliazione il rapporto tra immobilità ed eternità della pietra e fluidità del liquido, nutrimento per eccellenza, essenza vitale di facile deperibilità. La riuscita è affidata alla forma, rigorosa e accogliente, e al colore, bianco su bianco, segno di un’armonia recuperata. In questa come nelle altre serie di opere il controllo intellettuale è ferreo, l'uso di materiali organici non ammorbidisce il carattere concettuale della rielaborazione.
Guardando i disegni pubblicati in catalogo si vede come alcune forme semplici vengano selezionate e assunte come chiavi interpretative e modelli percettivi. Si tratta di triangoli e quadrati, che sommati danno le scale e gli Ziggurat di ascendenza sumera, qui realizzati in legno e poi laccati.
Tra le altre opere esposte si trovano forme quadrate di un giallo ocra abbagliante stagliato contro il pavimento grigiolino, con i bordi frastagliati e mobili che possono mutare con un soffio, ottenute setacciando pazientemente del polline di nocciolo.
Più in là alcune barche di grandi dimensioni dalla linea semplice, quasi infantile, modellate con cera d’api e sospese su un alto ponte di legno, sfilano, ordinatamente pronte al viaggio, mentre case di marmo bianco, sono circondate da una vegetazione di mucchietti di riso.
Il carattere effimero della maggior parte delle opere sottolinea la partecipazione al processo dell’evoluzione continua della materia in cui Laib coinvolge lo spettatore: dalla percezione dell’odore intenso della cera d’api alla visione del latte che si modifica col trascorrere delle ore. Da un punto di vista formale, il minimalismo suprematista è presente nelle composizioni basate sul quadrato (di marmo, di polline) in cui il valore della forma pura è integrato, non negato, dalla sua consistenza materica e organica. L’ascolto, l’immersione dei sensi, la partecipazione creativa, la creazione della forma solenne che ha superato ogni dualismo; questi sembrano i passaggi essenziali dell’artista tedesco, il quale però ridimensiona con modestia il proprio ruolo affermando che «è l’ambiente in realtà l’opera d’arte. Io lo integro».
Museo d'Arte Contemporanea di Roma, via Reggio Emilia, 54.

Info: 06. 671070400

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