Giornata lunga. Sono da poco passate le 21,30. Lei indossa un tailleur di pregiata fattura. Avrà trentanni. È snella, elegante, non bella, ma decisamente affascinante. In sintesi, una donna moderna, al passo coi tempi. Però sembra nervosa. Accanto, in piedi come lei, un tipo che avrà più o meno gli stessi anni. Leggera pancia in rilascio, la giacca malamente slacciata, una mano in tasca. Anche lui pare nervoso. Dice: «Ma senti...perché non scendiamo a piedi?»; «Volevo proportelo io» sillumina lei. «Allora dai, andiamo. In fondo sono solo quattro piani e a questora, se quel coso si blocca, chi ci viene a prendere?».
Maledetti o benedetti ascensori. Come gli aerei sono scatole simbolo di una modernità che fa tremendamente comodo ma che a volte, alcuni di noi, faticano ad accettare. Paure e fobie sul tema sono allordine del giorno: cè chi parla di «claustrofobia», chi di attacchi di panico, chi addirittura di agorafobia, la paura di trovarsi in luoghi o contesti dai quali sarebbe difficile allontanarsi. Senza voler fare della psicoanalisi, aereo e ascensore sono però su due livelli decisamente diversi. Perché salire o scendere di uno, due, massì, anche cento piani pone una problematica infinitamente più semplice rispetto a quella del volo. Cioè trattasi pur sempre di scatola appesa a una corda, non di fantascienza. E allora, che diamine, perché siamo qui a complicarci la vita con gli stress legati agli ascensori? Semplice: perché troppi li progettano come scatole chiuse di metallo spaziale che neppure Houdini ci salirebbe. Perché fior di architetti e ingegneri non si sono mai fermati un attimo a pensare massì, possiamo contribuire a togliere alla gente questo stress. Che ci vuole? Basta far tesoro dei primi ascensori, quelli aperti, splendide sculture vintage in ferro battuto.
Eppure, niente. Eppure non cè una sola persona che in fondo al cuore, quando prende un ascensore sigillato ermeticamente, non pensi alleventualità della fermata non richiesta fra piano e piano. Succede anche salendo sullaereo, solo che riuscire ad avere la certezza che il jumbo resterà sempre appeso al cielo è un filino difficile, mentre sarebbe così facile, in ascensore, poter urlare «ehi, qualcuno mi aiuti...» sicuri di essere sentiti, o pensare «vabbè, sono bloccato fra il quinto e il sesto però vedo la luce del piano sotto e laria entra perché posso aprire le porte». Tanto più che, per dirla sempre vintage, anni fa questa certezza lavevamo.
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