L’assassino finito in sedia a rotelle

(...) della decisione: perché il delitto di cui si resero colpevoli Sanzone e i suoi complici è di quelli che restano impressi nella memoria di una città. D’altronde, i rapitori di Gianfranco Trezzi ebbero una colpa in più: quella di inaugurare il filone dei sequestri fai-da-te, imprese scellerate e maldestre in cui dilettanti del crimine scimmiottavano le imprese dell’Anonima. Queste imprese si sono concluse regolarmente con la morte dell’ostaggio: come Giuseppe Bertini, impresario di pompe funebri rapito e ammazzato da un concorrente; come Luciano Carugo, sequestrato da un paio di suoi amici a secco di quattrini e sepolto nel Parco delle Groane; o come Gianmario Roveraro, rapito da uno che lo accusava di averlo bidonato, e eliminato senza pietà.
Anche tra i rapitori di Gianfranco Trezzi, imprenditore dell’acciaio, c’era gente che conosceva bene l’ostaggio. Sanzone no. Lui era l’esperto della compagnia, il malavitoso di lungo corso in grado di fornire il know how per l’impresa criminale. Nonostante la sua presenza, il rapimento fu un disastro sin dall’inizio. Quando capirono che non ne avrebbero cavato una lira, i rapitori si inebetirono di cocaina, ammazzarono Trezzi e si diedero ad una meticolosa opera di dissezione nel giardino in riva al fiume.

Da allora, molta acqua è passata nel Ticino, e Sanzone è un uomo che - anche prima che un bisturi lo immobilizzasse per sempre - ha imparato a riflettere sui suoi tragici errori. Ora il suo destino lo ha inseguito e raggiunto. Perché, direbbe Cecov, «se volessi farmi un anello, vi inciderei questa frase: “Nulla passa”».

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