L’astensione fulmina la Quercia Fassino sotto tiro fa mea culpa

Il segretario ds: «Pensavamo di potercela fare, bisogna riflettere». Salvi all’attacco: «Non basta andare in tv, serve impegno nella società: un errore criticare il non voto»

Massimiliano Scafi

da Roma

E adesso non buttiamola in politica, dice Piero Fassino: «Era una battaglia difficile, e lo sapevamo, ma ci sono delle battaglie difficili che vale la pena combattere, anche se l’esito può non essere positivo». E la fecondazione assistita, spiega, era una di quelle, perché «in gioco ci sono irrinunciabili princìpi che riguardano la persona, la libertà e la responsabilità della laicità dello Stato». Fassino comunque è «amareggiato» perché «pensavamo di potercela fare e il 26 per cento è deludente». Oggi si riunisce la segreteria della Quercia: «I Ds, forti del consenso di quei dieci milioni di italiani che hanno votato Sì, si batteranno in Parlamento per cambiare la legge».
Certo, ammette Fassino, qualche errore c’è stato. «Il voto ci obbliga a riflettere, quasi tutti i giornali, l'establishment economico, parte del mondo politico, da Fini a noi, era per il Sì e invece la gente non ha votato. Significa che c'è una faglia, una rottura tra il sistema della rappresentanza e una parte dell'opinione pubblica. Come si è visto nei referendum in Francia e in Olanda sull’Europa, si è prodotta una difficoltà del sistema a rappresentare mutamenti, umori, paure della collettività». Hanno pesato poi «la complessità della materia, l’azione della Chiesa e il logorio dell’istituto referendario».
Niente politica, insiste Fassino, eppure l’ondata astensionista rischia di bagnare pure i fragili pilastri dell’alleanza di centrosinistra. Il referendum infatti ha indubbiamente rafforzato Francesco Rutelli e indebolito Romano Prodi. C’è malessere nel Botteghino e c’è anche qualche attacco al Professore. Cesare Salvi, vicepresidente del Senato, gli attribuisce buona parte della responsabilità della disfatta: «È totalmente mancata la leadership di Prodi. Questa pesante sconfitta della sinistra deve essere occasione per riflettere e cambiare strada. La demolizione dei partiti ha lasciato ad altri la presenza organizzata sul territorio». L’altra metà della colpa, dice Salvi, è proprio del segretario ds: «La presenza televisiva del leader non può sostituire la presenza e l’impegno nella società di un partito radicato e vicino ai cittadini, in assenza del quale mancano i sensori per capire cosa accade, come dimostra il clamoroso errore previsionale sul quorum». Altro sbaglio, «la critica all’astensione», quando è stato proprio Fassino due anni fa «a impostare la stessa propaganda per il referendum sull’articolo 18». Conclusione: «Chi di furbata ferisce, di furbata perisce».
Cambiare, dunque. E una bordata alla lista unica arriva pure da un esponente della maggioranza, il dalemiano Giuseppe Caldarola: «È difficile avere un leader unitario che minaccia scissioni: avere il consenso degli alleati è decisivo e non mi sembra che il ruolo di Prodi sia messo in discussione da quello che dice Rutelli». Però adesso il Professore deve calmarsi. «Non si può trattare con la pistola sul tavolo - sostiene Caldarola -. Una spaccatura nella Margherita provocherebbe una deflagrazione nell’ex Ulivo e nell’Unione e io mi batterò affinché i Ds non avallino l’ipotesi che una scelta unitaria derivi da una scissione». Da registrare pure la Fabbrica prodiana: «Ascoltare va bene, però il dovere della politica è proporre. Dire alla gente “il programma lo fate voi” non mi pare credibile».
E che l’ex presidente della Commissione Ue sia in difficoltà lo si può dedurre anche dalla difesa d’ufficio di Luciano Violante: «La sua leadership non è in discussione. Né Prodi né Rutelli hanno fatto delle loro posizioni sul referendum motivo di rottura».

Quanto a Fassino, «ha fatto benissimo, è stato l’unico leader a fare campagna elettorale». E per Vannino Chiti, coordinatore della segreteria, questa in ogni caso non è la vittoria di Rutelli perché «nessuno può intestarsi l’astensione».

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