Un uomo qualunque percorre le rotte del mondo, sospinto da unossessione truce e bellissima, come trucemente bello sa essere il crimine. È infatti unossessione mortifera: ogni donna che luomo incontra finisce uccisa, non essendo che la provvisoria materializzazione dellunica donna il cui amore luomo si porta dentro, irrimediabilmente e invano. Finché sarà un poliziotto al suo primo «caso» a por fine alla catena di crimini, impallinando il pluriomicida sulla soglia dun nuovo delitto. O forse no, chissà: ché Lultima volta che sono morto (Aliberti, pagg. 223, euro 14), secondo romanzo di Massimo Cotto, non è solo una complessa, e sapientemente congegnata, vicenda noir. È un viaggio nellenigma e nellinsondabile, nel lato oscuro del nostro sentire, pensare e dunque essere.
«Una narrazione intimistica che si apre su risvolti psicologici inquietanti», scrive Giorgio Faletti nellintroduzione al volume. E Fernanda Pivano, nella postfazione, evoca il suo antico maestro, Pavese. Mica a torto: piemontese, Cotto sembra mutuare dalla lezione dei Pavese, dei Fenoglio, perché no del suo conterraneo Paolo Conte il senso dello scavo intimista che si spalanca a quella «vena celtica del racconto epico» di cui parlava Massimo Mila. Mescolando al contempo, nella svelta eppure ariosa musicalità del linguaggio, lesperienza di giornalista - Cotto è tra laltro il direttore di Rockstar - con quella di studioso di musica rock.
Il racconto muove dalla civiltà patriarcale delle campagne astigiane nel dopoguerra, e approda, dice la Pivano, in unIrlanda «pittoresca e un po turistica», passando per la Lusitania e per unAmerica mitizzata e sognata: in una sorta di dissolvenza incrociata tra mondi diversi, che specchia il gioco di incastri e situazioni di cui si compone la trama, e con esso la misteriosa polivalenza dellanimo umano. In un così mutante caleidoscopio, il meglio arriva proprio dalle pagine in cui la storia del protagonista sincastona in quella atavica della sua gente: in quel contado piemontese restituito con sorprendente vivezza, con complice ironia e con ineluttabile nostalgia. Sicché personaggi-simbolo come Cesco e Teresa, Elda Cimurro e Rino, la tenera Dulce e Antico, luomo del fiume, Robert e la gemella Sandy con il loro amore vietato ma ineludibile, diventano figure chiave di unumanità desiderosa di luce e viceversa prigioniera dun buio che tocca letica e listinto, la dannazione e lutopia di catarsi che abitano in noi.
Il risultato è una fiaba gotica che ha per epicentro la problematicità dellamore in un mondo disamorato, per ritmo quello pulsante del rock, per respiro quello ambizioso della saga, proponendosi, dice lautore, come «un incontro di solitudini che si attraggono» sul discrimine stretto tra il ghigno della commedia e il profilo stravolto della tragedia.
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