L’autore ha dato i numeri? Sarà un bel libro

"L’equazione dell’anima" racconta la mania di Jung per il 137. Ma non è un caso unico: da Alighieri a Foster Wallace passando per Paolo Giordano. La letteratura si alimenta spesso di ossessioni algebriche

L’ora di letteratura non è l’ora di matematica. Questa è una delle poche certezze che ci è rimasta dai tempi di scuola. E una formula non è né prosa, né poesia. Ma una certezza che si fa vacillante appena uno dà un’occhiata ad ampio spettro alle librerie. Viene sin troppo facile constatare che i numeri primi sono solitari, è ormai cosa nota a ogni lettore. Colpa di Paolo Giordano. Ormai non c’è signora da salotto che non sia in grado di spiegare con dovizia di particolari che «I numeri primi sono divisibili soltanto per 1 e per se stessi. Se ne stanno al loro posto nell’infinita serie dei numeri naturali, schiacciati come tutti fra due, ma un passo in là rispetto agli altri. Sono numeri sospettosi e solitari». Non sarà la descrizione matematica esatta, c’è una coloritura romantica, ma ormai non saranno pochi i professori che se la sentiranno ripetere in classe. Perché il numero di copie vendute da Giordano magari non è primo, ma sicuramente ha un sacco di zeri.

Ed è inutile dire che dopo l’exploit del torinese, in Italia se appena un editore può mettere in copertina qualche numero, o almeno una legge o un teorema, ce lo mette: I numeri della sabbia, I pazzi numeri del tempo, La formula del professore, L’equazione del tempo, L’ultima equazione... Ma la mania numerica non è solo italiana. Tanto per dire: La formula del professore di Yoko Ogawa (Il Saggiatore, pagg. 200, euro 15), davvero un bel romanzo, ha avuto enorme successo in Giappone. E per tutto il libro le vicende di uno strano professore la cui memoria dura soltanto ottanta minuti, sono costellate di formule. Esempio: «Subito dopo la sua esposizione, incisa per terra, della congettura di Artin, scrisse: 28=1+2+4+7+14. Un numero perfetto».

Il legame fra letteratura e numeri, anzi la maniacalità che avvicina gli scrittori ai numeri non è una cosa nuova, anzi. Per rendersene conto basta leggere il dotto libro di Arthur I. Miller L’equazione dell’anima (Rizzoli, pagg. 438, euro 21). Racconta di come il più letterario degli psicanalisti Carl Gustav Jung, si fece convincere dal più geniale dei suoi pazienti, il fisico Wolfgang Pauli, a sviluppare una vera e propria mania per il numero 137. Finirono per pensare entrambi che fosse una costante fondamentale dell’universo, quasi un trait d’union tra la fisica e la metafisica, tra la scienza e la cabala.

Ecco: il numero evoca. Il numero ordina e diviene simbolo. Nel fluire delle parole il numero diventa àncora, roccia su cui costruire. Da lì l’ossessione per scrittore e lettore. E gli esempi sono tanti, radicati nell’ossatura stessa della letteratura. Nella Bibbia c’è il libro dei Numeri che parte con un censimento e trasforma il popolo di Israele in cifre. E la Commedia del «sommo poeta» è divina perché Dante Alighieri racchiude la genialità dei versi in una maniacale numeralità. Al centro c’è il 3 trinitario, ma attorno ruota tutta la sapienza occidentale sul numero. Basti una manciata di terzine del XXIX canto del Purgatorio: «Ventiquattro seniori, a due a due... Vennero appresso lor quattro animali... Ognuno era pennuto di sei ali».
Retaggi medievali? Non solo. Italo Calvino ha scritto la splendida raccolta Ti con Zero. Il titolo fa riferimento al paradosso di Zenone sulla pluralità delle cose e il movimento. E non crediate che questa formula sia stata una fissazione solo di Calvino. Si ritrova nei romanzi di Jorge Luis Borges, Lewis Carroll e in un poema di Paul Valéry, Le Cimetière Marin. E la poetessa danese Inger Christensen, più volte in odor di premio Nobel, ha sviluppato una mania per la serie numerica di Fibonacci in cui ogni termine è la somma dei due che lo precedono (1, 2, 3, 5, 8, 13, 21, 34, 55, 89...). Sulla base di questo principio ha costruito la sua raccolta poetica più famosa Alfabeto. Più pragmatico il poeta greco Nikos Kazantzakis (forse lo ricordate per Zorba il Greco), il quale ha scritto un seguito dell’Odissea in 24 libri. E, visto che il 3 era il suo numero totem, lo ha fatto in 33333 versi. Un’ossessione che gli è costata 14 anni di lavoro. Peccato non siano stati 15, cioè 3 per 5 o meglio 3+3+3+3+3... In compenso ne ha fatte 7 stesure e 7 per 2 fa 14. Una vera faticaccia.

Ma niente in confronto a quella di David Foster Wallace, per passare agli autori recentissimi. Prima ha messo l’infinito (in matematica è un «8» coricato) in un titolo: Infinite Jest. Poi ci ha scritto sopra un saggio: Tutto, e di più. Storia compatta dell’infinito. L’assoluto è meno consolante del numero, o meglio dei numeri più piccoli... Ma ecco che il ragionamento si fa complesso. E senza aver nemmeno sfiorato la fantascienza, nata da una costola di Jules Verne, uno che metteva in pagina quasi più cifre che parole: «Così un litro di polvere pesa circa 2 libbre; infiammandosi, esso produce 400 litri di gaz; questi gaz... sotto l’azione di una temperatura portata a 2400 gradi, occupano lo spazio di 4000 litri» (Dalla terra alla luna).

Meglio fermarsi, prendere atto che anche per gli articoli di giornale ci si attacca sempre ai numeri.

Così quando domani qualcuno ci scriverà per ricordarci che James Joyce era ossessionato dai numeri e dal tempo (aveva addosso 4 orologi) e che è lesa maestà non citare Ernst Jünger tra i pazzi per la matematica, noi risponderemo così: «Gli autori citati in neretto sono 13. È il numero fortunato del redattore, per di più è primo, uno e trino, come somma fa 4. Non si pretenda altro!».

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