Dallera delle grandi fusioni alla riscoperta del territorio: la crisi ha cambiato le priorità delle banche italiane, sempre più alle prese con la débâcle delle Borse e le difficoltà di famiglie e imprese. Secondo uno studio di Kpmg, già a giugno dello scorso anno i non performing loans erano aumentati del 33 per cento.
Da qui lurgenza per lindustria del credito nazionale di mettere mano alla struttura dei costi e di riscoprire la centralità delle filiali. «Le banche italiane hanno perso parte della fiducia dei clienti sia sul fronte della raccolta, perché hanno venduto prodotti inadeguati, sia degli impieghi perché non hanno capito le esigenze delle aziende», premette Massimo Appiotti, numero uno in Italia della società di consulenza Valeocon. Lultima grande ristrutturazione è il progetto «Banca Unica» di Unicredit, varato da Alessandro Profumo dopo un lungo braccio di ferro con le Fondazioni azioniste. Unaltra prova di quanto sia delicato il raccordo sul territorio per una grande banca: anche in casa Intesa i dissapori con la Compagnia di San Paolo, poi sfociati in battaglia in occasione del rinnovo dei vertici, erano partiti dalla «Banca dei Territori».
Luomo incaricato di coordinare la svolta «federalista» di Unicredit è Gabriele Piccini e il gruppo ha «la possibilità di compiere una svolta. La nuova struttura deve essere non solo vicina ma orientata al cliente, perché questo è il modo migliore per ottenere efficienza». Le banche si affannano su piani industriali e trimestrali ma, secondo Appiotti, è il punto di partenza a essere sbagliato: «Lunico modo virtuoso per ridurre il cost-income ratio come pretendono le Borse è fare solo quello che i clienti sono disposti a pagare, semplificando al massimo tutti gli altri processi». Un concetto oggi disatteso: «Molte banche hanno cambiato i sistemi informativi. Avrebbero, invece, dovuto agire sulla cultura del personale, snellire e semplificare le proprie strutture sia in senso verticale sia orizzontale. Quando per aprire un conto corrente i documenti passano da un ufficio allaltro e poi si scopre, come spesso avviene, che la richiesta era incompleta, la banca subisce un doppio costo: il tempo perduto e linsoddisfazione del correntista». È poi necessario intervenire sulle logiche che regolano la raccolta e gli impieghi: «I clienti - aggiunge Appiotti - cercano persone che comprendano le loro esigenze. Le banche devono smettere di vendere prodotti solo perché hanno alti margini, magari penalizzando altre soluzioni più valide per i risparmiatori. Occorrono consulenti e non venditori che perdipiù propongono investimenti che conoscono poco».
Quanto poi ai prestiti, occorre inserire nelle filiali «addetti in grado di valutare se il business model di unimpresa e la sua redditività prospettica sono sostenibili. Non si può continuare a erogare credito con lo specchietto retrovisore sulla base di bilanci appesantiti dalla crisi o fossilizzandosi sulla richiesta delle garanzie». Il consulente di Valeocon ritiene poi indispensabile aumentare progressivamente lautonomia di credito concessa ai singoli direttori di filiale, perché sono questi ultimi a conoscere il territorio. Quasi una banca dei sogni, anche se «è chiaro che bisogna trovare un equilibrio tra i profitti e la sostenibilità del business».
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