Davvero grande è il disordine sotto il cielo se Sydney Lumet, decano del giallo da aula giudiziaria, in un'aula giudiziaria conclude la carriera rifacendo sostanzialmente il brillante Mio cugino Vincenzo di Jonathan Lynn (1992) e intitolandolo Find Me Guilty, che in Italia è diventato Prova a incastrarmi.
Presentato all'ultimo Festival di Berlino, il film vi giungeva preceduto da una modesta eco americana, salvo per l'interpretazione di Vin Diesel. Attore muscolare insolito e innovativo, Diesel incarna un personaggio classico: l'imputato detenuto che si difende da solo davanti a una giustizia prevenuta.
Il film evoca infatti il reale caso Di Norscio, risalente a una decina d'anni fa. In Italia però esce proprio mentre si sta per seppellire un caso analogo: il caso Milosevic, che davanti al tribunale politico dell'Aia si difendeva anche meglio di quanto si difenda qui Vin Diesel.
La differenza fra realtà e cinema è che nella prima nulla tempera la durezza degli eventi. Il personaggio di Prova a incastrarmi ha passato sì buona parte della vita in galera, ma sorride come fosse la più naturale delle cose. Ed è davvero bravo Diesel a esprimere più fatalismo (nulla possa su di te ciò su cui nulla puoi) che incoscienza. Nell'edizione originale, il suo vocione roco e caldo contribuiva molto alla credibilità dell'astuto mafioso italoamericano, posto di fronte all'arguto giudice ebreo-americano (Ron Silver).
Ma Lumet ha tirato in lungo la storia. Ora, in un'aula di tribunale possono avvenire sempre solo le stesse cose. Un'ora e mezza sarebbe stata sufficiente, ma il film procede ben oltre il dovuto. Si può percepire l'amarezza di una vita rovinata dietro il sorriso strafottente; si può cogliere l'antagonismo fra l'etnia passata per madre di tutti i banditi e l'etnia passata per madre di tutti gli inermi. Si può, ma solo se conoscete i veri rapporti di forza nella malavita americana del '900.
PROVA A INCASTRARMI di Sydney Lumet (Usa, 2005), con Vin Diesel, Ron Silver, 125 minuti
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