L’intellettuale: «Raduno tutti e aiuto a preparare»

Quando Bruno Gambarotta era bambino c’era la guerra, e il pranzo della domenica era una cosa seria. E forse per questo il celebre umorismo dello scrittore e autore televisivo è sempre rimasto fuori da quella che è la sua grande passione: la buona tavola.
Meglio il pranzo a casa o al ristorante?
«La domenica cerco di radunare tutti a casa mia. Fra nipoti e figli siamo in 12, il più piccolo ha otto mesi, ma solo a Natale riusciamo a stare tutti insieme. E comunque Torino è così tradizionalista che quando invito amici al ristorante mi chiedono: “Perché? Hai i muratori in casa?”».
Chi cucina di solito?
«Mia moglie, che è bravissima, io le faccio da assistente: lavo, taglio... Mi piace molto stare in cucina».
Il vostro pranzo tipo?
«Molto leggero: ravioli, zuppe, lasagne o gnocchetti di patate passati al forno, che piacciono molto ai nipoti. E poi carne bianca: saltimbocca alla romana o petti di pollo. Niente dolce: una volta ogni tanto lo strudel».
Come passava le domeniche da bambino?
«Mia madre era pettinatrice e allora si lavorava anche la domenica mattina, però non c’era domenica in cui non ci fosse il pranzo in famiglia. La mamma preparava il sabato sera, mentre la domenica in cucina c’era papà. Lui era tipografo e amava lavorare in casa, cosa straordinaria all’epoca. Io, che in questo ho preso molto da lui, lo aiutavo a preparare le insalate russe o l’insalata capricciosa».
E in tavola che altro c’era?
«La domenica c’era la gallina, un vero lusso. E poi i bolliti e gli stracotti. Ancora oggi mi ricordano quegli anni. Oppure la carne in gelatina, che i miei cugini non mangiavano perché dicevano che era tremolante».
Il suo piatto preferito?
«In piemontese si chiamano capùnet: sono involtini di cavolo ripieni di carne con salsa di pomodoro».
Cos’è cambiato?
«Oggi non si ha più voglia di cucinare. Lo stare ai fornelli è vissuto come una schiavitù, e si preferisce comprare cibi già pronti. La gente sbaglia quando pensa che cucinare sia una perdita di tempo. Per fortuna però le cose stanno cambiando».


Un esempio?
«Be’, torna la voglia di stare in casa, di cucinare. Sono fra i relatori del Festival della scienza di Genova. A fine lavori ci portano tutti a cena, ma non in un ristorante. In case private. Lo stesso fanno a Bologna. È il segnale che del ritorno alla famiglia».

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