L’INTERVISTA 4 GIANRICO TEDESCHI

A vederlo mentre sul palco prova un’intonazione e poi la corregge di scatto fissando la platea con aria di sfida, si ha l’impressione di scorgere un giovanotto che, per scherzo o per follia, si è truccato da vecchio gentiluomo. Perché Gianrico Tedeschi, novant’anni, che in questi giorni inaugura la stagione del Piccolo di Milano con la Compagnia degli uomini, il testo di Edward Bond diretto da Luca Ronconi, ha un rapporto particolare col tempo.
«Non vorrà insinuare che sono una delle tre Parche?», minaccia agitando un dito nella mia direzione.
Tutt’altro, eppure gli anni ci sono, e sorprenderla in piena attività desta stupore.
«Per questo ne sono stupito anch’io, anche se non lo dò a vedere. Mai e poi mai mi sarei aspettato di trovarmi ancora sul palcoscenico a combattere contro me stesso».
Combattere, non le pare di esagerare?
«Il teatro è una lotta ad oltranza, non l’ha ancora capito? Non basta il mestiere, non conta niente l’esperienza: le tavole che scricchiolano sotto i piedi mi mettono paura come la prima volta».
Avvenuta quando e dove?
«A Sandbostel, il campo di prigionia dove fui internato subito dopo l’armistizio. Mi chiedo dove abbia trovato il coraggio quel ventenne sparuto e magrissimo di nome Gianrico a impersonare di fronte ai soldati nientemeno che Enrico IV».
A quell’epoca già immaginava che il teatro sarebbe stato la sua vita?
«Neanche per sogno. O forse sì, sa che non me lo ricordo?».
Lei sta giocando con me come il gatto col topo.
«Forse ha ragione. Ma è proprio sicuro di essere lei il topolino?».
Torniamo ai novant’anni. Cosa si prova a un’età come la sua? «Si ha la sensazione strana e bellissima che la vita sia appena cominciata e che il passato appartenga a qualcuno di cui si sono perse le tracce tanto tempo fa».
Cos’ha in comune il personaggio Gianrico Tedeschi col ruolo che affronta al Piccolo?
«Nulla. Persino l’età anagrafica non è la stessa. Sa che nel testo di Bond ho solo settant’anni?».
Mi tolga una curiosità: cosa si aspetta dal futuro?
«Le rispondo citando Paola Borboni, che a una richiesta simile, rispose: «“Giocare a rimpiattino con la morte da cui, naturalmente, uscirò a partita vinta”».
Come l’ha vinta con Strehler e Visconti tra i registi e con Eliot e Thomas Bernhard tra gli autori?
«Piano, piano. La disfida è appena iniziata».
Con chi?
«Con Edward Bond, che diamine! È lui l’uomo che adesso devo sottomettere al mio volere. Con gli altri la partita è chiusa, con lui invece...».
Non dirà che oltre a scrutare nell’intimo del personaggio, Gianrico Tedeschi esamina per dritto e per traverso anche il drammaturgo.


«E se ne stupisce? L’opera di un vivo è un libro aperto da cui spunta ad ogni passo la psiche dello scrittore. Portarla alla luce, mi creda, è un ignobile sforzo».
In cosa consiste?
«Si deve scrutare in noi stessi. E può essere doloroso».

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