L’INTERVISTA GIOVANNI BISIGNANI

I governi si sono accordati, dunque.
«Hanno alleggerito le loro posizioni. Ma ho dovuto battagliare cinque giorni per ottenere una conference call tra i ministri dei trasporti». Giovanni Bisignani, direttore generale della Iata, l’organizzazione che riunisce le principali 250 compagnie aeree del mondo, sta viaggiando per l’Europa in automobile: da Ginevra a Parigi ieri, oggi da Parigi a Berlino, giovedì da Berlino a Bruxelles per un incontro formale con la Commissione europea. È molto critico su come le autorità hanno gestito l’emergenza provocata dal vulcano islandese: «C’è stata mancanza di attenzione a livello politico per la gravità di una situazione che ha coinvolto e sta coinvolgendo 750-800 mila passeggeri negli aeroporti e sta provocando minori incassi di 250 milioni di dollari al giorno per le compagnie».
Che cosa si sarebbe dovuto fare?
«Il problema principale è che in Europa si decide che cosa chiudere e che cosa tenere aperto degli spazi aerei sulla base di un modello teorico che incrocia dati vulcanologici e dati meteo. In Europa siamo gli unici a utilizzare studi e mappe teorici, perchè negli Stati Uniti si mandano in missione aerei ricognitori appositamente attrezzati, degli aerei-laboratorio che misurano il livello della polvere vulcanica alle diverse altezze e alle diverse latitudini; l’ente regolatore, la Federal Aviation Administration, decide quali spazi chiudere, ma per le aree esterne a questi lascia la decisione alle compagnie aeree, che assumono la responsabilità delle proprie scelte».
In Europa non c’è un’autorità unica
«Infatti. Negli Stati Uniti la Faa ha competenza per tutto il territorio, ma in Europa i cieli sono ancora frammentati nonostante si parli da vent’anni di unificarli. Qui la competenza, in teoria almeno, è degli Stati».
Perchè in teoria?
«Perchè i bracci regolatori sono degli enti pubblici. In Gran Bretagna si è verificato un caso paradossale: lo spazio aereo era aperto, ma l’ente per il volo, l’equivalente dell’Enav in Italia, non ha prestato assistenza impedendo di fatto alle compagnie di svolgere la propria attività. Un’incongruenza».
I vettori che cos’hanno fatto?
«British, Lufthansa, Air France, hanno ottenuto, su pressioni della Iata, la possibilità di volare nelle zone a rischio senza passeggeri per raccogliere informazioni, capire il grado di rischio di contaminazione e mettere a disposizione delle autorità i dati per le analisi. Hanno attrezzato velivoli con filtri, con indicatori collocati nei misuratori della velocità e con sonde poste nelle turbine».
I risultati?
«Le tracce di pulviscoli vulcanici sono state minime. Sia chiaro: noi siamo i primi a volere la massima sicurezza per il trasporto aereo, ma non passiamo accettare metodi vecchi, teorici e che non usa più nessuno. Per cinque giorni sono state prese decisioni prive di razionalità».
Lei ha detto che il danno è paragonabile a quello provocato dagli attentati dell’11 settembre.
«Dal punto di vista del traffico è superiore. Questa crisi dura già da cinque giorni e se si ricomincia a volare ci vorranno ancora 3-6 giorni perchè la situazione si normalizzi. La vera differenza è che dopo l’11 settembre la ripresa fu molto più lenta perchè la gente aveva paura di volare».
Questa crisi è arrivata in un momento di ripresa per il trasporto aereo.
«Sì, ma colpisce soprattutto l’Europa, che è ancora un’area debole. Qualche numero può dare l’idea: nel 2009 tutto il settore ha perso 9,8 miliardi di dollari, la previsione per il 2010 è di una perdita di 2,8 miliardi. Le uniche due aree stimate in rosso sono l’Europa (meno 2,3 miliardi) e gli Stati Uniti (meno 1,8). Quindi il vulcano colpisce l’area più malmessa».
Avete stimato il danno complessivo?
«Non ancora, perchè varia di giorno in giorno.

Molte compagnie medio piccole, colpite nei ricavi, rischiano una crisi di liquidità. Giovedì chiederò ufficialmente alla Commissione europea di riconoscere al trasporto aereo gli stessi aiuti che ottenne negli Usa dopo l’11 settembre. Dai colloqui svolti fin qui ho trovato un atteggiamento favorevole».

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