Lei: «Tu sei molto stressato... Vuoi pompino?». Lui: «No grazie, ma faccia come se avessi accettato». Dialogo d’un film a luci rosse? Macché trattasi di uno scambio di battute tra Giorgia Wurth - nel ruolo di una pornostar dell’Est - e Fabio De Luigi in Com’è bello far l’amore di Fausto Brizzi al vertice del botteghino da due settimane. Una commedia che è stata pubblicizzata per famiglie tanto che sul sito di Famiglia Cristiana (ma non ditelo a Celentano) se ne parla spensieratamente come di un «porno-sentimental». Salvo poi appioppare alle famiglie con prole il compito di stare a spiegare cos’è appunto la fellatio, come ci si muove in una «dark room», che cosa sta a significare il nome d’arte del pornodivo protagonista (Max Twentyfiver ossia «Max 25 centimetri») oppure che unità di misura è «tre orgasmi casello casello: Orte, Arezzo e Figline Valdarno!».
Anche perché la commedia di Brizzi ha avuto il nulla osta della commissione di revisione cinematografica - la cosiddetta censura - del Ministero per i Beni e le Attività Culturali. Insomma è un «film per tutti» da 0 a 99 anni come nei giochi da tavolo. Qui non si tratta di fare del moralismo o di essere bacchettoni. Qui si tratta di chiedersi se ha ancora senso tenere in piedi un sistema mastodontico - sono ben otto le commissioni della Direzione Generale per il Cinema composte ognuna da nove persone - attivo quasi ogni giorno per analizzare circa 500 domande all’anno di richiesta di nulla osta. Per poi affibbiare il massimo divieto, quello ai minori di 18 anni, a solo 6 film in tutto il 2011. Leggermente più significativi i 48 divieti ai minori di 14 anni (tra cui il passo falso di Quando la notte di Cristina Comencini, derubricato «per tutti» non appena sono montate le polemiche). Titoli che comunque, nella stragrande maggioranza dei casi, neanche arrivano in sala o, com’è accaduto per Enter the Void di Gaspar Noé, sono disponibili contemporaneamente al cinema e sul sito www.ownair.it che li noleggia legalmente e in via teorica anche ai minori. Basta inventarsi una diversa data di nascita e il divieto viene aggirato.
Così, magari, oggi che c’è un governo cosiddetto tecnico si può tentare l’azzardo di rivedere una legge sulla «censura» che risale addirittura al 1962 (Bondi ci ha provato ma sappiamo com'è andata a finire). Nel solco non solo della semplificazione ma anche del risparmio (i commissari - magistrati, psicologi, critici cinematografici, rappresentanti delle associazioni dei genitori e di quelle animaliste - prendono poco, è vero, solo 23 euro lordi per vedere i film ma è tutto l’ambaradan che costa). E poi, ora che alla guida del Ministero c’è Lorenzo Ornaghi, di area cattolica, non ci si potrebbe aspettare un interesse maggiore verso le famiglie? È troppo chiedere che lo spettatore venga informato su che cosa va a vedere e poi decidere se far seguire ai figli l’ora di educazione sessuale o di violenza al cinema? La verità è che si potrebbe fare una riforma semplice semplice e a costo zero. Magari seguendo l’esempio degli Stati Uniti dove sono i produttori a regolamentarsi (un po’ come il sistema dei bollini tv) e dove di un film viene consigliata e motivata la visione per i più piccoli accompagnati dai genitori, poi c’è lo step per quelli che hanno meno di 13 anni, seguito dalla temuta indicazione «R» che sta a significare la presenza di contenuti violenti o sessualmente espliciti e infine il divieto ai minori di 17 anni.
La cosa curiosa è che una riforma del genere troverebbe d’accordo tutti, il Ministero (dalla Direzione Generale per il Cinema fanno sapere che «è un’esigenza avvertita») ma anche i produttori. «L’abbiamo proposto in più occasioni - dice Riccardo Tozzi presidente dell’Anica, la «Confindustria» del cinema - perché tutto sommato i film li conosciamo meglio noi e non avremmo interesse a portare in sala gli spettatori sbagliati, sarebbe un boomerang».
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