
Scrivendone molti, siamo sempre interessati a leggere articoli inutili. Fra i tanti, e non citeremo la testata - uno di quei femminili imbattibili nel conciliare l'afflato terzomondista con le Balenciaga in pelle da 3.800 euro - un pezzo su La cucina di sinistra: valorizzare la contaminazione per costruire il futuro. Sommario: «Mentre il cibo è sempre più di destra (?, ndr), per opporsi bisogna valorizzare la commistione».
Comunque il giornale è «d» di Repubblica.
Sconfitta nei referendum, la sinistra esce dai salotti. E si fa un giro in cucina.
Insomma, l'articolo di un noto scrittore, che parte dal gastronomico e finisce in politica - è un elogio della contaminazione culinaria (strano, i sinonimi di «contaminazione» sono: contagio, infezione, inquinamento, corruzione... tutti negativi), del multiculturalismo, delle cene etniche, della «cucina che unisce anche lingue diverse» e altre gustose cazzate contro - ecco il piatto forte - la tendenza «a usare il cibo e il Made in Italy per veicolare l'idea di identità». E ci sfugge a quale partito alluda. Cuocere, obbedire, combattere.
Ottimo. Se la sinistra continua a politicizzare ogni cosa, la destra resterà seduta a tavola a lungo.
Idea! Proponiamo un referendum per abolire le trattorie, i ristoranti tipici e i prodotti tradizionali italiani.
Che poi.
A esaltare il sovranismo alimentare è gente come Carlo Petrini e Oscar Farinetti, non certo pericolosi nazileghisti mangiapolenta.E per quanto riguarda le strumentalizzazioni della sinistra, niente di preoccupante. È sempre la solita minestra.