L’ira di Prodi: Tronchetti non mi ha avvertito

La sinistra radicale: «Intervenga il governo, la rete telefonica deve tornare pubblica». Cauti i Ds. La Cdl: lo Stato non interferisca

Laura Cesaretti

da Roma

Fin dal primo mattino, nella magnifica cornice settecentesca della Villa Tuscolana del Vanvitelli, che ospita a Frascati il seminario dei gruppi parlamentari dell’Ulivo, si capisce che non sarà il futuro del Partito democratico a tenere banco nei corridoi. L’attenzione dello stato maggiore di centrosinistra è tutta rivolta al presente, e alla vicenda Telecom.
Ed è lo stesso premier Romano Prodi, quando sbarca all’ora di pranzo sul colle del Tuscolo con le sue cinque autoblù, a mettere subito la questione all’ordine del giorno, dettando ai cronisti un giudizio molto critico sull’operazione di scorporo di Tim: «La mia è una reazione di sorpresa: circa dieci giorni fa ho avuto un colloquio cordiale e approfondito con Tronchetti Provera e non mi ha assolutamente accennato a una ristrutturazione societaria così importante e radicale, e così diversa dalla strategia che lo stesso Tronchetti aveva proposto anni fa». In pratica, l’accusa rivolta al presidente della società telefonica è quella di avergli volutamente nascosto le proprie reali intenzioni. Mentre il governo «ha il diritto di essere informato sui contenuti e le motivazioni di una proposta così importante per il futuro del Paese». E il premier non esclude un intervento dell’esecutivo: «Quando saprò cosa c’è scritto nel piano, potrò anche prendere qualche decisione», si limita a dire.
Del resto, il suo malumore era già stato fatto trapelare ieri mattina attraverso le colonne di Repubblica, che riferiva di un Prodi «sconcertato» e «molto preoccupato» per il futuro di una delle più grandi imprese italiane, e per il rischio che l’Italia resti «l’unico grande Paese privo di un gestore domestico» della telefonia mobile. «Il pericolo - spiegavano da Palazzo Chigi - è che il nostro apparato industriale continui a impoverirsi».
Il governo appare dunque spiazzato dalla svolta di Tronchetti. Di qui a dire che l’Unione marcia compatta contro l’operazione, però, ce ne corre. Dalle file della maggioranza esce un ampio ventaglio di reazioni dalle sfumature diverse. Con i ds assai cauti e parchi di giudizi. Piero Fassino ritiene «necessario» che «il gruppo dirigente di Telecom fornisca tutte le informazioni e i chiarimenti necessari in modo che si capisca bene qual è il segno di questa operazione e si possa dare una valutazione». La linea della Quercia, sintetizza il dalemiano Latorre, è quella della «prudenza»: se dalla Margherita in molti si uniscono a gran voce allo «sconcerto» prodiano, Latorre si dice «meno sconcertato», ma comunque «attento». Il rutelliano Zanda, invece, ci va giù durissimo: «Non è più possibile che la proprietà di grandi aziende italiane alle quali lo Stato affida in concessione la gestione di servizi pubblici essenziali venga acquisita attraverso indebitamenti di decine e decine di miliardi di euro. Sono situazioni che provocano danni gravi a tutti i cittadini». Poi c’è la sinistra radicale, che invoca a gran voce un’entrata in campo dell’esecutivo per stoppare Tronchetti: «Il governo usi la Golden share - invita il Verde Pecoraro - è necessario che agisca per evitare scelte sbagliate». Il radicale Capezzone lo boccia: «Spero che nessuno abbia in mente nuove Iri o un nuovo uso della golden share, o forme di nuovo statalismo». Il ministro Paolo Ferrero, di Rifondazione, se la prende (senza nominarlo) con Massimo D’Alema, rievocando la stagione dei «capitani coraggiosi» benedetti dall’allora premier: «Questo è il frutto di una privatizzazione disastrosa, che se ben ricordo non ha fatto Berlusconi», insinua. Il comunista Diliberto si scontra pubblicamente alla Festa dell’Unità col ministro delle Comunicazioni: «La proprietà della rete telefonica deve tornare allo Stato, il governo usi il suo potere di veto» contro Telecom, reclama. Il rutelliano Gentiloni replica secco: «Non è il momento di parlare di golden share. E sarebbe un errore ripubblicizzare la rete: in tutta Europa le reti hanno forme di controllo pubblico con delle Autorità severe ma proprietà private». Il Verde Bonelli lo critica: «Troppa prudenza si traduce in immobilismo».

Dalla Cdl, Urso di An teme che «riemerga la forte tentazione della sinistra di mettere le mani sull’economia, all’insegna delle peggiori partecipazioni statali». E il leghista Maroni intima al governo di non interferire: «Non siamo in un regime sovietico». E aggiunge: «Non vorrei che tornasse la merchant bank di Palazzo Chigi, cosa che invece mi pare si profili all’orizzonte».

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