L’Irak agli iracheni: il giorno del ritiro Usa

La svolta a sie anni dal conflitto. Giornata storica a Bagdad: le truppe Usa lasciano le città e passano il testimone alle forze di sicurezza locali Inizia il disimpegno totale. Parate militari, concerti e giochi pirotecnici per festeggiare "la sovranità"

L’Irak agli iracheni: il giorno del ritiro Usa

A Bagdad la televisione ha cominciato a mostrare un orologio con sullo sfondo una fluttuante bandiera irachena e la scritta inequivocabile: 30 giugno, giorno della sovranità nazionale. Oggi i 131mila soldati americani presenti in Irak saranno tutti dentro le loro 320 basi disseminate sul territorio, dopo il ritiro dalle città. Le truppe da combattimento Usa, al momento 12 brigate, dovranno tornarsene a casa entro l’agosto del prossimo anno. Nessun soldato americano resterà in Irak dopo il 31 dicembre 2011.
Nella capitale e in gran parte dei grandi capoluoghi gli americani hanno cominciato ad abbandonare le strade da giorni. Ieri a Bagdad avevano già preso il loro posto le forze di sicurezza locali. I soldati iracheni sfilavano sui loro blindati, di marca Usa, coperti di fiori e bandiere nazionali. Cantavano e ballavano inneggiando alla “vittoria” in preparazione per la giornata di oggi, dichiarata festa nazionale. Al parco Zawraa di Bagdad si esibiranno cantanti e poeti per celebrare l’evento. I generali flettono i muscoli e annunciano che sono pronti a far tacere sul nascere qualsiasi provocazione. «Tutte le truppe sono in stato di massima allerta. Non viene concesso alcun congedo. È in corso un ampio dispiegamento nell’intero Paese», ha affermato il generale Abdul Kareem Khalaf, portavoce del ministero degli Interni.
Gli americani, però, sono pronti a intervenire in caso di necessità. A Bagdad i soldati Usa si sono ritirati nelle due grandi basi attorno all’aeroporto, ma in qualsiasi momento possono uscire per dar man forte agli iracheni e proprio ieri è stata annunciata la morte di un soldato in combattimento. Nelle ultime settimane i terroristi di Al Qaida hanno rialzato la testa ammazzando circa 150 persone in diversi attentati. Gran parte delle vittime sono sciite. L’obiettivo è riattizzare l’astio settario con i sunniti per fare ripiombare il paese nell’incubo della guerra civile. Non a caso il premier Nouri al Maliki ha ripetuto più volte gli appelli all’unità.
Fra la gente di Bagdad la stragrande maggioranza è entusiasta del ritiro Usa dalle strade, anche se teme che il paese non sia in grado di andare avanti da solo. Gli americani «hanno fatto un gran lavoro liberandoci dal tiranno Saddam. Per questo dobbiamo ringraziarli, ma è ora che se ne vadano», ha spiegato Talib Rasheed, 70 anni, in un sobborgo della capitale. «Magari potrebbero lasciarci un po’ di elettricità in più prima di andarsene», aggiunge senza neanche scherzare troppo. Il riferimento è alla cronica intermittenza della fornitura di energia elettrica e di acqua potabile. Le forze di sicurezza irachene sono numericamente adeguate, ma i cinque miliardi di dollari Usa per l’equipaggiamento non bastano. Anche l’abbassamento del prezzo del petrolio non ha aiutato gli investimenti per ricostruire la marina e l’aviazione. I problemi settari, a cominciare dall’integrazione dei sunniti, sono dietro l’angolo. I Figli dell’Irak, che hanno abbandonato la guerriglia per combattere con gli americani contro Al Qaida dovrebbero venir arruolati, per il 20% nelle forze armate e per il resto in altri uffici governativi.
A nord la strategica area di Kirkuk, ricca di petrolio, è sempre divisa fra i curdi, che vorrebbero legarla ai loro territori autonomi e gli arabi fieri oppositori di questo disegno.

L’Iran degli ayatollah è pesantemente infiltrato nelle stesse istituzioni e nei partiti di Bagdad, ma pure vicini ingombranti come l’Arabia Saudita non vogliono la rinascita di un Irak forte con gli americani chiusi nelle basi. Le elezioni parlamentari del prossimo gennaio saranno la prima sfida dell’Irak che si garantisce la sicurezza da solo.
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