L’Islanda, ecco la nazione che imita Madoff Non paga i debiti e il popolo vota sì alla truffa

Inglesi e olandesi hanno depositato 4 miliardi di euro in alcune banche poi fallite. Ma un referendum ha deciso: nessun rimborso. Il Paese in cui fino a qualche anno fa si viveva meglio si gioca gran parte della sua credibilità, sia con i suoi connazionali, sia all'estero

L’Islanda, ecco la nazione che imita Madoff 
Non paga i debiti e il popolo vota sì alla truffa

In Islanda c’è una guerra fredda a tre che rischia di far sciogliere la «Repubblica dei ghiacci». E farla diventare un paese Madoff. In quella che un tempo era un’isola paradisiaca è sceso l’inferno. Il miracolo nordico è svanito da tempo: se l’è portato via la crisi finanziaria globale e delle banche. E ora è proprio il crac di una banca privata a rappresentare la punta dell’iceberg. Solo quattro anni fa, l’Islanda era il paese in cui si viveva meglio al mondo, considerando longevità, competitività globale, ma soprattutto reddito pro capite e indice di affidabilità. Adesso è su quest’ultimo punto che il Paese si gioca gran parte della sua credibilità, sia con i suoi connazionali sia all’estero.

I risultati del referendum di ieri mettono in luce una cosa: gli islandesi non hanno intenzione di pagare di tasca propria gli errori delle elités bancarie. Quasi il 60 per cento ha infatti votato contro l’accordo sul rimborso di 3,9 miliardi di euro richiesti da Gran Bretagna e Olanda dopo il fallimento nel 2008 della Icesave, una filiale della Landsbanki, seconda banca del Paese. Una banca on line che, ai tempi in cui l’Islanda era ancora un paese ricco e attrattivo, contava circa 350mila correntisti britannici e olandesi e depositi per un totale di 5 miliardi di dollari. Complice soprattutto il fatto che venivano garantiti alti interessi e ritorni molto appettibili. Una storia simile alla truffa dell'americano Bernard Madoff. Comunque sia, il denaro che arrivava in Islanda ha contribuito ad alimentare la ricchezza economica del paese e dei suoi abitanti. Peccato che poi la crisi dei mutui abbia fatto crollare ogni tipo di stabilità, la banca sia fallita e molti correntisti abbiano perso i loro risparmi. E così, le autorità britanniche e olandesi hanno preso in prestito denaro per compensare i loro cittadini, salvo poi chiedere il rimborso all'Islanda. Ed è qui che è iniziato il braccio di ferro.

Perché l’Islanda non ha ottemperato alla richiesta e in risposta a ciò Regno Unito e Olanda hanno minacciato di bloccare l'entrata di Reykjavik nell'Ue e l’agenzia di rating Fitch ha retrocesso il Paese nella classifica dell’affidabilità. Nonostante ciò ha prevalso la linea del presidente dell’Islanda, Olafur Ragnar Grimsson, di ricorrere al referendum per soddisfare una petizione di 42 mila elettori. Il risultato del primo referendum del marzo del 2010 - che prevedeva un pagamento di un debito fissato a 5,3 miliardi di dollari – aveva sancito una vittoria schiacciante del no con il 93%. E il risultato del referendum di ieri ha ribadito il no, nonostante il Parlamento abbia approvato l’accordo con netta maggioranza e siano state un po’ limate le condizioni. Condizioni che prevedono un costo per il Paese pari a poco meno di 444 milioni di dollari e un piano di rimborsi che partirebbe nel 2016 e terminerebbe entro il 2046. Tutto ciò non ha convinto gli islandesi, contrari all’idea di dover pagare per errori commessi da altri e di dover indebitare le generazioni future. Ma forse anche irriconoscenti nei confronti di quel benessere passato dovuto agli investimenti stranieri e di cui hanno beneficiato.

Intanto, secondo il ministro delle Finanze, Steingrimur Sigfusson, «le riserve sono più che sufficienti a coprire tutti i pagamenti nei prossimi anni». Meno tranquille Olanda e Gran Bretagna. «Non è bene né per l’Islanda, né per l’Olanda - commenta il ministero delle Finanze olandese - non è più tempo di negoziazioni. La questione ora è nelle mani della giustizia».

«Abbiamo provato a ottenere una soluzione negoziata con l’Islanda ma l’accordo è stato respinto» si è detto deluso anche il numero due del Tesoro britannico Danny Alexander. Ora la partita si giocherà sul piano giudiziario, ma lo spettro di Madoff aleggia sulla «Repubblica dei ghiacci».

Commenti
Disclaimer
I commenti saranno accettati:
  • dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
  • sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica