I fantasmi del Vietnam si risvegliano a Chicago. Era laprile del 1975. I vietcong bussavano alle porte di Saigon e gli elicotteri in fuga dal tetto dellambasciata americana trascinavano in cielo grappoli umani pronti a tutto pur di non finire nelle mani dei vincitori. Tra due anni rischiamo di rivedere quelle drammatiche scene nei cieli di Kabul. Gli ingredienti ci sono tutti. Barack Obama lha già fatto capire. Per sua decisione i soldati americani smetteranno di combattere già nellestate del 2013. E da lì al 2014, data del definitivo ritorno a casa, si limiteranno a garantire laddestramento dellesercito afghano. La più grande fuga, insomma, dai tempi del Vietnam. Una fuga pianificata nel corso del cruciale summit della Nato apertosi ieri a Chicago, la città del presidente.
Ma la grande fuga rischia comunque di costarci cara. Per imbellettare quella retromarcia, Obama è pronto ad esigere da America e alleati una tassa duscita di 4,1 miliardi di dollari annui fino al 2017. Quei soldi serviranno, secondo la Casa Bianca, a completare laddestramento e larmamento di 352mila poliziotti e soldati afghani. Grazie a quel dispositivo di sicurezza il regime del presidente Hamid Karzai, e i suoi successori, dovrebbero riuscire a far fronte alle spallate talebane. Fosse così la grande fuga sarebbe un gran bellaffare, meno costoso del mantenimento delle truppe in Afghanistan e capace di azzerare le perdite umane. Raramente, però, soldi e armi americane - come dimostrano le storie dello Scià, del regime di Saigon e dei contras in Nicaragua - garantiscono la salvezza agli alleati di Washington. In Afghanistan, anche a giudicare dalle mediocri prestazioni belliche offerte dalle unità di Kabul, rischia di andare allo stesso modo. Quei soldi, così preziosi in tempo di crisi, minacciano di perdersi nella voragine talebana che seppellirà il regime di Hamid Karzai allindomani del ritiro Nato.
La parte più spiacevole in termini economici di questa storia riguarda noi italiani. François Hollande, Angela Merkel, e molti altri alleati sono ben felici di portare a casa i propri soldati anzitempo, ma si guardano bene dal garantire la sottoscrizione della tassa duscita, ovvero quella fetta da 1 miliardo e 300 milioni annui che la Casa Bianca pretende daddossare agli alleati europei. Hollande, pronto a svignarsela già nel 2012, ha già annunciato che non simpegnerà per un solo euro fino al summit economico sullAfghanistan del prossimo luglio a Tokyo. Il presidente del Consiglio Mario Monti, assai sensibile alle telefonate e alle attenzioni offertegli nellultima settimana da Obama, sembra invece prontissimo a garantire ladesione immediata. A Chicago lItalia rischia dunque di ritrovarsi fra i pochi alleati pronti a sottoscrivere una cambiale il cui vero scopo non è salvare Kabul, ma la faccia dellamministrazione democratica.
Eppure la storia di questo mandato dimostra che il presidente democratico non è il più affidabile degli interlocutori quando cè di mezzo lAfghanistan. Nel 2009 - subito dopo linsediamento alla Casa Bianca - Obama proclama limprocrastinabile «necessità» della sfida afghana promettendo cruciali svolte strategiche.
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