L’Italia sulle orme di chi sbaglia I nostri militari tornano in Libia

Cento anni dopo i nostri soldati torneranno a calcare le sabbie libiche. Cent'anni dopo la guerra alla Turchia del 1911 e la conquista dell'ex colonia il ministro della Difesa annuncia l'invio di dieci consiglieri militari per appoggiare i ribelli di Bengasi. Ma stavolta guerra e conquista son l'ultimo degli obbiettivi. Dieci consiglieri non si negano a nessuno. Soprattutto in una partita cruciale come quella libica. La decisione annunciata ieri da Ignazio La Russa è l'inevitabile risposta all'invio d'altrettanti istruttori militari comunicato da Londra e Parigi. La risposta fa parte del gioco. Anche se non è il nostro gioco. Anche se è un gioco orchestrato da alleati che si muovono più sulla linea della competizione politica ed economica che dell'intesa militare. Proprio per questo non possiamo abbandonar la partita. Né regalarla a chi, fin qui, ha soltanto inanellato errori e passi falsi.
Lo scenario che ci costringe ad allinearci con l'escalation voluta da Londra e Parigi è quello di un conflitto statico e improduttivo. Uno scenario caratterizzato dall'incapacità e dall'inconsistenza militare dei ribelli di Bengasi e dall'assenza di un Bruto o di un Badoglio capace di sostituire il raìs. I principali artefici di questo pantano bellico non siamo noi, ma Washington, Parigi e Londra. La decisione di varare la risoluzione sulla "no fly zone" e avviare le operazioni militari è tutta della Casa Bianca. Una decisione seguita dal clamoroso addio alle armi dell'aviazione statunitense. Con l'uscita di scena dei top gun americani Londra e Parigi si ritrovano prigioniere delle proprie scelte politiche. Non hanno il coraggio di premere sull'acceleratore dei bombardamenti per sloggiare Muammar Gheddafi e famiglia, ma neppure la capacità di trovargli una valida alternativa.
L'errore più plateale lo commette l'intelligence britannica dopo la defezione del ministro degli esteri libico Mussa Kussa. L'MI6 britannico è l'organizzazione che meglio conosce, assieme ai nostri servizi segreti, la trama del potere libico. Lo stesso Kussa valuta, prima di volare da Tunisi a Londra, la possibilità di offrire a Roma la propria collaborazione. A fargli preferire la capitale inglese sono i rapporti personali stretti nel 2003 quando ha patteggiato con i vertici dell'MI6 la consegna dei piani nucleari libici. La scelta è quanto mai errata. Temendo per la propria rispettabilità internazionale Londra smentisce qualsiasi patto con il fuggitivo e annuncia di esser pronta a consegnarlo alla Corte Internazionale. Da quel momento a Tripoli cambia l'aria. I possibili protagonisti di una congiura anti raìs tirano i remi in barca, gli aspiranti Badoglio abbandonano una partita in cui non è garantita neppure l'immunità. Da quel momento l'avventura libica diventa stallo, palude, pantano. Consapevoli di non poter contare né sugli inaffidabili ribelli di Cirenaica nè su un'improbabile congiura in Tripolitania, Londra e Parigi spingono la Nato verso un'escalation subdola e silenziosa. Mettono un piede sul terreno inviando consiglieri militari a Bengasi, tengono gli occhi su Misurata, la città assediata capace di offrire il pretesto migliore per lanciare un intervento di terra travestito da operazione umanitaria.
Il piano esiste già. Si chiama Eufor Libya, l'ha messo a punto la responsabile per la sicurezza europea Catherine Ashton e prevede il dispiegamento di mille soldati per aprire un corridoio umanitario e rompere l'assedio di Misurata. Il vero trappolone di quel piano è il comando offerto in precedenza al nostro Paese. Con il comando insediato a Roma e la guida delle operazioni nelle mani di un ammiraglio italiano il nostro Paese non potrebbe tirarsi indietro. Proprio per questo dobbiamo assecondar le mosse di Londra e Parigi.

Dobbiamo evitare di ritrovarci scavalcati prima di aver concertato un piano d'azione con la Germania e gli altri alleati contrari ad un intervento di terra. Proprio per questo dobbiamo continuare a collaborare, ma anche perseguire autonomamente la ricerca di un successore di Gheddafi in grado di garantire la difesa dei nostri interessi energetici e geopolitici.

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