L’Occidente si muove in ordine sparso

La soluzione per un cessate il fuoco basato su una tregua controllata e monitorata da un’autorità internazionale, in teoria, esiste già. Ehud Olmert ne parla da giorni e George Bush l’ha avallata 48 ore fa. Il problema è riuscire ad agguantarla prima di quanto Israele sia disposto a concederla. In quella difficile gara l’Unione Europea, affidata alla presidenza di turno ceca, non parte certo avvantaggiata. La missione Ue, decollata da Praga alla volta del Medio Oriente, sembra più un viaggio della speranza che una trasferta diplomatica. Il ministro ceco degli Esteri, Karel Schwarzenerg, il suo omologo francese Bernard Kouchner, quello svedese Carl Bild e l’Alto rappresentante per la Politica estera, Javier Solana, non hanno alcun obiettivo definito. Si limiteranno a partecipare ad una serie d’incontri al Cairo, a Gerusalemme, Ramallah e in Giordania, auspicando che tempo e discussioni lavorino a loro favore. A rendere ancora più evidenti le divisioni dei 27 ci pensa il primo cittadino francese, Nicolas Sarkozy. Il presidente continua a lavorare come se fosse ancora il presidente di turno europeo e inizia oggi un solitario tour mediorientale dagli obbiettivi per ora indefiniti, ma sicuramente in competizione con quelli dei rappresentanti dell’Unione. Sarkozy comunque in un’intervista non fa sconti ad Hamas che «ha una responsabilità pesante nelle sofferenze dei palestinesi a Gaza».
La missione Ue punta invece a determinare le condizioni per una tregua, anche se «sarà assai difficile ottenerla - ammette Schwarzenberg -. Una piattaforma precisa ancora non c’è - ha spiegato il capo delegazione durante un incontro con la stampa -, dovremo prima deciderla con Israele». Il punto è proprio qui. L’esercito con la stella di David è impegnato in un’operazione di cui nessuno, al di fuori dei vertici israeliani, conosce l’obiettivo e che di certo richiederà almeno una settimana. Finché l’esecutivo di Gerusalemme continuerà ad avere dalla propria parte una Casa Bianca pronta ad avallarne l’operato e dall’altra un’Europa divisa e indecisa sarà difficile attendersi uno stop alle operazioni militari. «Non possiamo accettare l’idea che Hamas continui a sparare mentre noi dichiariamo un cessate il fuoco», ha chiarito ieri il presidente israeliano Shimon Peres definendo l’offensiva una «guerra giusta». Anche i tentativi di Javier Solana di connettersi alle richieste di monitoraggio della tregua avanzate da Ehud Olmert restano abbastanza vaghi e prevedono soltanto una presenza di osservatori europei simile a quella incaricata in passato di verificare i transiti al valico di Rafah tra Gaza e l’Egitto.
A rendere ancor più complessa la missione dei quattro inviati europei contribuiscono le esternazioni fuori controllo della presidenza di turno ceca. Non più tardi di sabato il portavoce del premier ceco Mirek Topolanek ha definito «più difensiva che offensiva» l’operazione israeliana evidenziando le divisioni sulla necessità di raggiungere una tregua in tempi rapidi. Sull’incauta uscita ha messo una pezza, bollandola come «grave errore», lo stesso ministro degli Esteri di Praga, Karel Schwarzenberg.


La debacle della diplomazia internazionale ha raggiunto il suo apice al Consiglio di Sicurezza dove la Libia ha cercato di far passare una risoluzione in cui non si faceva riferimento alla natura terroristica di Hamas.

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