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L’«onore» di Pallaro, il senador di Prodi che ha tradito la Cdl

Prima di essere eletto in Argentina aveva garantito a Forza Italia che si sarebbe iscritto al gruppo azzurro. Ma dopo la vittoria dell’Unione ha cambiato idea

L’«onore» di Pallaro, il senador di Prodi che ha tradito la Cdl

Chi consulti il sito di «Azzurri nel mondo», movimento per gli italiani all’estero di Fi, vedrà che il suo presidente per il Sud America è il Cav.Gr.Uff. Luigi Pallaro. Proprio l’ottuagenario senatore italo-argentino, gruccia principale del governo Prodi a Palazzo Madama che senza di lui non avrebbe potuto varare la Finanziaria.
La circostanza che un nome chiave del centrosinistra figuri tuttora tra gli «Azzurri nel mondo» dipende ovviamente dal fatto che non è stato depennato. Il perché non lo sia stato è però più sottile. Un’ipotesi, può essere il disguido. Un’altra, che Fi voglia masochisticamente tenere aperta la ferita che il voltafaccia di Pallaro le ha causato. L’ultima ipotesi è che sia un modo sarcastico di ricordare pubblicamente che il Gr.Uff. è una voltagabbana. Il fatto invece che Pallaro fosse effettivamente il responsabile di Fi per il Sud America e che oggi invece stia con l’Unione, ruota interamente attorno al concetto di «parola d’onore» del senador.
Prima di essere eletto, Pallaro era da tempo nell’orbita di Silvio Berlusconi. Molte cose li gemellavano.
Il Gr.Uff. è il Berlusconi argentino. È il maggiore fornitore al mondo di carni per Mc Donald’s. Possiede nel nord del Paese una fazenda che pullula di bovini adattissimi, povere bestie, a trasformarsi nei rinomati hamburger della catena statunitense. È inoltre titolare di svariate società nei più fantasiosi settori, dall’elettronica alla cibernetica, tra cui la Hermanos Pallaro, la Bello Horizonte, la Lacteos de Poblet, la Ulex, la Burela, Las Colinas. Fattura in complesso 300 milioni di dollari l’anno. Ha una villa a Buenos Aires che rivaleggia con quella di Berlusconi a Arcore. L’ingresso è presidiato da colonne di marmo bianco e la dimora è immersa in un vasto parco ai margini di un bosco nella zona più chic della città, il quartiere Palermo. Possiede inoltre altre ville in Argentina, una casa a Roma, una a Padova e una nel vicino San Giorgio in Bosco, il paesello natìo dal quale, ultimo di nove fratelli, è emigrato ventiseienne nel 1952.
Il primo politico italiano che si abboccò con Pallaro fu Mirko Tremaglia, l’ex ministro An per gli Italiani nel mondo. Chi va in Argentina non può prescindere dal cavalier Luigi, Luis in spagnolo, che è un membro illustre della nostra comunità di laggiù. È inoltre il rappresentante più votato dei Comites, il raggruppamento degli italiani del Sud America. Luis e Mirko, dunque, trascorsero insieme diverse ore rievocando commossi la Patria lontana. Ma, al dunque, il cavalier Luis non se la sentì di aderire alle liste Tricolori di An. Infatti, è un incallito democristiano, in continuo contatto con Giulio Andreotti e perfino con Ciriaco De Mita. Tremaglia, perciò, rimase con le pive nel sacco anche se entrambi si professano tuttora amici.
Maggiore fortuna ha avuto invece Alessio Gorla, per lunghi anni plenipotenziario di Fininvest a Baires. In confidenza per ragioni di lavoro, i due simpatizzarono anche perché Pallaro ha sempre dichiarato di ammirare il Cavaliere milanese e di condividerne le idee. Gorla fece allora da tramite con Dario Rivolta, il deputato di Fi che girava il mondo per sistemare le liste azzurre dei candidati italo-esteri in vista delle elezioni 2006. Fu così che Pallaro accettò la presidenza della sezione sudamericana di Azzurri nel mondo e il suo nome cominciò a campeggiare nel sito apposito.
Inutile dire che nelle mani del Gr. Uff., Fi fiorì. Pallaro è, infatti, un lavoratore infaticabile. Mangia pochissimo e dorme quattro ore a notte. A qualunque ora si corichi, si alza all’alba. Per essere in forma anche in orari antelucani, gli basta sorbire al risveglio un canarino, cioè una tazza di acqua bollita con scorza di limone. A patto che l’agrume provenga dalla limonaia della sua villa. Per tenersi tonico a dispetto dell’età, Luis si affida, secondo voci, a pozioni magiche, poltiglie macrobiotiche e alla medicina alternativa. Lui si schermisce e dice di avere solo «cura del corpo che considera una macchina da tenere sempre in efficienza». I risultati sono comunque eccellenti. È davvero un bell’uomo. Ha capelli fonati e bianchissimi, senza fastidiosi ingiallimenti o artificiali sfumature azzurre. Gli occhi sono celesti, gli occhiali cerchiati d’oro. È galante, fa il baciamano alle signore, sorride maliardo. Pare un veneto uscito da una quinta di Goldoni. Quando fu visto per la prima volta a Roma in ambienti di Fi, le signore concordarono su un punto: «Da giovane, deve essere stato un gran figo!».
Giunto il momento di candidarsi per l’elezione 2006, il Gr. Uff., che pure era a capo degli Azzurri, decise di presentarsi con una lista propria, l’Ais, «Associazione italiane in Sudamerica». Alle rimostranze dei berlusconiani, spiegò: «Io ho un consenso trasversale. Se però mi presento con gli Azzurri prendo solo i voti di destra. Con una lista mia, attiro anche quelli di sinistra. Ma, se sarò eletto, parola d’onore che mi iscriverò al gruppo di Forza Italia, perché io sono di Fi». Davanti alla parola d’onore di un gentiluomo da 500 milioni di dollari, non c’è che da inchinarsi. Così fecero i berluscones che, orbati del Gr.Uff., raffazzonarono in extremis una lista di Azzurri. Qualche dubbio sul futuro però circolava perché vedevano che Pallaro, nelle sue puntate romane, continuava a peregrinare tra Andreotti e De Mita.
La notte dello spoglio elettorale emerse subito che l’Ais aveva trionfato. Il cavalier Luis era eletto al Senato e il suo pupillo, Riccardo Merlo, alla Camera. Appena il fuso lo consentì, un emissario di Fi telefonò a Pallaro che nella sua villa a Baires stava sorbendo il canarino. «Complimenti, senatore. Ce l’ha fatta. Mi conferma però che si iscriverà al nostro gruppo?». Già scattante grazie alla pozione, el senador rispose senza esitare: «La mia parola è una sola. Parola d’onore. D’altra parte, alla mia età, se non ho la parola cos’altro mi resta?». Così, tranquillizzata, Fi si consolò del fiasco sudamericano della propria lista che non aveva avuto l’ombra di un eletto.
Qualche giorno dopo il senador, che nelle ore successive avrebbe preso possesso della carica, arrivò a Roma. Per l’occasione era accompagnato dalla moglie argentino-romagnola, seniora Nelida, e dalle figlie, seniorite Nancy e Rossana. Tuttavia, agli emissari berlusconiani che erano venuti a prenderlo in albergo per accompagnarlo dal Cav che voleva conoscere il suo nuovo senatore, Pallaro non presentò né l’una, né le altre. Il più acuto degli emissari si insospettì per questa presa di distanza. Era come se il Gr.Uff. volesse evitare troppa familiarità in vista di... mah, in vista di che? L’acuto disse tra sé: «Gatta ci cova».
L’istinto non lo aveva ingannato come si vide mezzora dopo a Palazzo Grazioli quando i due cavalieri furono l’uno di fronte all’altro. El Senador e il Berlusca non si erano mai visti prima, ma passarono subito al tu. Questo facilitò al colloquio di prendere una piega chiara. «Parola d'onore» fece il seguente discorso: «Appena eletto mi ha convocato il ministro dell’Interno argentino. Si è congratulato e ha sottolineato la vastità dei miei interessi in Argentina. Ha aggiunto di sperare che sarei stato indirettamente la voce del loro governo di sinistra nel Senato italiano. Tu che sei imprenditore come me, penso capisca la mia posizione». Berlusconi capì che Pallaro era perduto prima ancora di cominciare e che il suo senatore sfumava nelle nebbie dell’opportunismo che lo portava dritto da Prodi. Evitò di ricordargli la parola d’onore reiterata e si inchinò agli eventi che si mostravano sotto forma di salto della quaglia. Da allora, sul nome Pallaro fioriscono giochi di parole.
Tolta la maschera, el senador inalberò la scusa. Disse e ripete che «mai metterà in crisi il governo pro tempore, perché è interesse degli italo-argentini avere un governo», aggiungendo: «Né mi occuperò di beghe che non mi riguardano come il ponte di Caltanissetta».
Pallaro è il migliore esempio del bell’affare che è stato fatto col voto agli italiani all’estero. Non distingue Messina da Caltanissetta ed è etero diretto, per sua ammissione, dalla Casa Rosada. Il presidente populista Kirchner è ostile al Cav non solo per antipatia politica ma perché il Cav lo tallonò dopo la truffa dei bond argentini. Ci fu tensione e Kirchner disse che una visita di Berlusconi a Buenos Aires non era gradita. Viceversa, alcuni dell’Unione sono andati da lui e lo hanno incoraggiato a sbattersene dei bond perché era roba di «speculatori». Non risulta, peraltro, che Pallaro e i «connazionali» abbiano fatto alcunché per indurre Kirchner a restituire il mal tolto. Se ne sono impipati. Giunto però a Roma, el senador ha preteso da noi solidarietà per gli oriundi e batte cassa sapendo che Prodi è costretto a tenerselo buono. È l’ennesima voce stonata di questo scombiccherato Parlamento.

Nonostante il canarino.

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