L’ultimo appello di Ciampi: l’Italia viva nella concordia

Il Capo dello Stato glissa sul rinnovo del mandato e invita i Poli a una collaborazione istituzionale

Massimiliano Scafi

nostro inviato a Fabriano

Non doveva parlare, non doveva nemmeno salire sul palco. Invece eccolo in piedi davanti al microfono mentre nella «città perfetta» dipinta da Gentile lancia il suo appello ai due schieramenti: «L’Italia sa e deve vivere nella concordia». Più che monito, visto il clima politico di questi giorni, è una vaga speranza. E più che un invito a una collaborazione istituzionale, stavolta sembra una sorta di testamento spirituale, di viatico finale a un Paese in difficoltà. Le ultime o le penultime parole pronunciate da un presidente in scadenza di mandato. Ma è davvero così? Sono in pochi a crederlo, anche se sulla riconferma il capo dello Stato fa catenaccio. Blindato dalla sua scorta, meno avvicinabile del solito, Carlo Azeglio Ciampi risponde alle domande alzando le braccia al cielo.
Ma il rigido cerimoniale si squaglia sotto il sole di Fabriano, quando Francesco Merloni, che è stato ministro del governo Ciampi, dopo averlo guidato per la mostra su Gentile, lo invita a dire qualcosa: «Lei presidente rappresenta il più alto riferimento a difesa dell’unità nazionale». E allora Ciampi si avvicina al microfono. Niente appunti, nessun discorso scritto. Per la prima volta forse in sette anni, il presidente parla a braccio: «Non riesco a far altro che dire grazie per la molteplicità di sentimenti e di ricordi che si affollano nella mia mente. Dico solo grazie e faccio un augurio affinché Fabriano, le Marche e l’Italia continuino nello spirito di questa giornata». Che sarebbe lo spirito di collaborazione, la voglia di fare che c’è nei piccoli centri italiani, nel sistema-Marche «modello per lo sviluppo». Il capo dello Stato si emoziona e incespica un po’ sulle parole, poi riprende: «L’Italia, oltre ad essere laboriosa e industriosa, sa vivere nella concordia, sa come la sua forza sia nella qualità della vita che viene dal lavoro quotidiano». Chiude ricordando i contatti con le Marche e Fabriano «negli anni Cinquanta, quando ero un giovane funzionario della Banca d’Italia».
Fine del discorso. Ciampi abbraccia Merloni, che festeggiato i suoi ottant’anni trasformandosi in mecenate, riceve le chiavi della città, si concede una passeggiatina con relativo bagno di folla. Nel pomeriggio, una coda familiare a Fermo, dove vive Margherita, la nipote che sta per farlo diventare bisnonno: Ginevra nascerà tra pochi giorni, intanto la famiglia Ciampi festeggia al ristorante. Antipastini caldi, tagliatelle fatte in casa, frittura di paranza, rombo scottato, semifreddo al cioccolato, Verdicchio. Questo il menù a base di pesce dell’Adriatico che il presidente dimostra di apprezzare.
All’uscita viene quasi travolto da centinaia di persone in attesa.

«Bravo», gridano, «resta», «sei il migliore». Ciampi saluta, stringe qualche mano, poi parte in auto verso la casa della nipote, sposata con un impreditore calzaturiero. In serata è già a Roma, dove lo aspetta il rebus governo.

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