Roma - Sta per partire una nuova puntata della serie tv Agrodolce, ma in un set inedito: la procura di Roma. Il fascicolo è sul tavolo dei magistrati romani in seguito alla denuncia, appena depositata, firmata da Luca Josi, presidente della Einstein Fiction Srl, società che ha prodotto, per conto della Rai, la sfortunata soap alla siciliana ormai cancellata dai palinsesti. Non solo un clamoroso flop televisivo, ma una vicenda oscura, che ha per protagonista Giovanni Minoli, responsabile editoriale della serie. Un caso rispetto a cui la carta di credito di Minzolini fa davvero sorridere, anche se è costata la testa all’ex direttore del Tg1.
È Minoli che viene accusato da Josi, nelle carte depositate alla Procura, «di aver utilizzato per secondi fini il suo ruolo ricoperto nell’ambito dell’organizzazione Rai», e di aver fondato sul proprio «potere decisionale» tutta una serie di richieste, cioè «di assunzioni, di far subentrare soci senza alcuna chiara compensazione economica, di acquisizione diretta della società, nonché l’imposizione di nomine ed incarichi all’interno della società». Un addebito pesantissimo (tutto da verificare ovviamente), motivato con 19 pagine di querela e diversi allegati, anche audio. Perché ad un certo punto, allarmato dalla situazione, Josi ha pensato bene di portarsi un registratore e documentare le riunioni (alcune frasi di Minoli: «Io faccio quello che voglio ok!», «Io che vi ho portato i soldi e l’affare», «Se il problema è formale, siete morti»). Frasi rintracciabili su internet. I magistrati hanno dunque in mano la denuncia del presidente di Einstein che racconta nei dettagli la vicenda, iniziata nel 2005, con la firma di un accordo per la produzione di Agrodolce, come premessa per una successiva convenzione (12 milioni di euro) tra Regione Sicilia e Rai. Le cose però sono andate male fin da subito, cioè dal momento in cui si è cercata una location per girare la soap. Iniziano le spese per la Einstein (4.200.000 euro, per personale e infrastrutture) e anche le richieste di Minoli. La prima relativa all’assunzione di Renèe Cammarata, «rappresentata come unica possibile cerniera tra la produzione ed il territorio siciliano, benché non avesse alcuna esperienza nelle produzioni tv, essendosi limitata ad alcune sporadiche apparizioni in un programma di Rai Educational, il cui direttore era, appunto, Minoli». Josi, dopo molte resistenze, inghiotte questa richiesta e la prende come collaboratrice, ma subito dopo - sempre sotto pressing, così almeno racconta il capo di Einstein - deve ad assumerla come dirigente (77.535 euro l’anno) in una società del gruppo. La Cammarata individua una location per Agrodolce: il castello di Trabia, di proprietà del principe Vanni Calvello. Ma c’è un problema, segnalato dal presidente dell’Antimafia Giuseppe Lumia. E cioè che «il proprietario e lo stabile erano stati usi alla frequentazione di primarie personalità del firmamento mafioso» (Totò Riina e Bernardo Provenzano). Ne nasce uno scontro, Minoli resiste, poi soccombe: viene abbandonata quella idea, ma la Einstein (che intanto sostiene le spese) è invitata da Minoli, per «non lasciare strascichi con la proprietà», a pagare 100mila euro in favore del principe Vanni Calvello.
A quel punto, e siamo nel 2007, la situazione degenera anche perché la Rai ha incassato finanziamenti dalla Regione Sicilia per degli studios (di Einstein) in Sicilia che precedentemente si era rifiutata di sovvenzionare. Crescono le spese e le pressioni, sia per entrare nella società di Josi, sia per mettere come interlocutori persone più fidate. Ad un certo punto nel progetto compare una famiglia intera: Ruggero Miti, come produttore esecutivo voluto da Minoli, Carlotta Miti, figlia, attrice, Matteo Miti, come regista. Altre richieste di Minoli, come quella di comparire nella sigla ad ogni puntata, dopo aver preteso dai tecnici della Einstein «ben sei dimagrimenti digitali, con Photoshop, per raggiungere la linea a lui gradita». Nelle carte si riportano conversazioni con l’ex dg Rai, Agostino Saccà, col direttore della Fiction Fabrizio Del Noce. Nel marzo 2011, dopo mille traversie, si chiude bottega.
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