Caro Granzotto, linchiesta sulla P4 sta prendendo laire e i giornali ne pubblicano paginate e paginate. Ma, letto tutto ciò che è pubblicato, a me viene solo da ridere. Tutto lì loscuro tramare? Per quelle stupidate scatta lemergenza democratica? Lei che impressione ne sta traendo?
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Ammetto di essere molto abbattuto, caro Crespi. E ferito nel mio orgoglio. Perché, vede, non si vive di solo pane: è al companatico che prende gusto lamor proprio e purtroppo, lette le carte Woodcock, John Henry Woodcock, mi son reso amaramente conto di essere fuori dal giro. Conto niente, ma proprio niente. A diciannovemila (19.000) ammontano le pagine delle trascrizioni telefoniche relative alla P4. Manco la Treccani. E il mio nome non vi compare nemmeno di sguincio. E badi caro Crespi, non è chio sia particolarmente scaltro e che dunque eviti di raccontare fatti miei e altrui al telefono, di fare battute su questo o quel politico, questo o quel Vip. Macché. Non sono un gran telefonista e anzi il telefono lho fortemente sulle scatole, però quando capita non mi trattengo e tra un cachinno e laltro butto là giudizi, apprezzamenti, critiche. Do del fesso a chi credo lo meriti e a pensarci bene, altro che fesso: posso andarci giù proprio pesante. Eppure, in quelle diciannovemila pagine fitte fitte non figuro. Quel che è peggio, quel che, diciamocela tutta, mi umilia, è che di quelli che vi figurano conosco quasi tutti. Un lustro e passa fa, con Bisignani, poi, ero anche in confidenza. «Ciao, Gigi, come va?» «Bene, e tu?». Roba che oggi farebbe drizzar le orecchie a Woodcock, John Henry Woodcock. Oggi. Allora non gliene fregava niente a nessuno e questo è il guaio, caro Crespi: non ho saputo stare al passo con i tempi, adattarmi al tic tac del metronomo delle Procure, mannaggia a me. Posso dirlo? Io di Gianni Letta sono proprio amico. Ci conosciamo da quando eravamo giovani e baldi redattori alle Provincie, lui per una testata, io per unaltra. Però, negli ultimi tempi, negli ultimi dieci anni, intendo, gli avrò telefonato sì e no un paio di volte. Ci siamo visti, talvolta, ma telefonate, niente. Capisce, caro Crespi, cosa mi sono perso? Con unamicizia così non dico tanto, ma mezza dozzina di telefonate il mese e una bella citazione nel libro mastro del dottor Woodcock, John Henry Woodcock, non me la toglieva nessuno. Dicono del Pulitzer, dicono del Premio «È Giornalismo» (Giorgio Bocca, Curzio Maltese, Gianni e Riotto, Gian Antonio Stella in giuria. Roba grossa. 15 mila e 500 euri. Lha vinto anche Natalia Aspesi, non so se mi spiego). Dicono, ma la vera consacrazione per uno che fa il mio mestiere - e non è «sincero democratico» perché i colleghi «sinceramente democratici» sono esclusi dallorigliamento giudiziario - è il comparire nelle copiature delle intercettazioni. Basta un «PG: Davvero?» o un «PG: Ma cosa (incomprensibile) mi racconti!» e zàcchete ti piomba sulla fronte la corona dalloro. E la fama - la fama caro Crespi, la fama - di piquattrista (che per uno che manco è stato piunista, son cose che contano). E potevo farcela, creda. Ho letto che uno dei più ghiotti bocconi dellinchiesta - che verte sul favoreggiamento personale, illecita acquisizione di notizie e informazioni, di materiale che scotta, insomma - è questa soffiata telefonica: «... allora praticamente giovedì sera al ristorante I Pazzi Michele Vietti ha offerto una serata a quattro avvenenti ragazze che risultano lavorare allufficio legale delle Poste...».
Paolo Granzotto
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