di Fabrizio Rinversi
Giovanni Dondi, nativo di Chioggia, tra il 1365 e il 1381 dette vita a uno dei più straordinari capolavori dell'arte meccanica, l'Astrario. Si trattava di un orologio astronomico e planetario che attirò, nel tempo, visitatori illustri da tutta Europa, come l'astronomo tedesco Giovanni Regiomontano, oppure pittori e architetti come il Bramante, o ancora teste coronate come quella di Carlo V, imperatore del Sacro Romano Impero. Ecco, Giovanni era dottore, ma all'epoca i medici usavano l'astrologia per stabilire l'oroscopo dei loro pazienti e allora studiò e divenne esperto di astronomia e di un'arte orologiera che stava prodigiosamente imbrigliando i movimenti siderali in schemi e formule meccaniche e matematiche. Giovanni fu uno dei più fulgidi rappresentanti di una tradizione italiana nell'orologeria di enorme risonanza, dal Quattrocento in poi. Eredità pesante e impegnativa che nei secoli, quando i centri focali dello sviluppo dell'arte del segnatempo divennero l'Inghilterra, la Francia e poi la Svizzera, si trasformò in capacità sopraffina e credibilità indiscutibile nel saper indirizzare il gusto e l'apprezzamento delle creazioni orologiere sia sotto il profilo tecnico che estetico a livello internazionale. Un ruolo mantenuto e sviluppato fino a tutti gli anni '90, con virtuosi riflessi commerciali.
Come dire: se un orologio ha successo in Italia, significa che lo avrà per certo in tutto il mondo. Poi, dall'inizio del XXI secolo il baricentro del mercato e, soprattutto, la posizione privilegiata come riferimento nell'influenzare tendenze e aspettative si è spostata a velocità incredibile verso est. Basti pensare che nel 2000 l'Italia assorbiva il 9% delle esportazioni orologiere svizzere, con la Cina allo 0,4% e Hong Kong al 14%. Nel 2012, la situazione delle percentuali di destinazione dell'orologio svizzero è stata: Hong Kong 20%; Cina 8%; Usa 10%; Italia 5%; con il resto d'Europa sceso dall'11 al 9%.
L'esplosione della potenzialità del Far East ha coinciso con la deriva europea ma, come in tutti i fenomeni troppo repentini, si sono aperte delle falle causate, in particolare in Cina, dai dazi doganali compresi tra l'11 e il 23%. Ciò ha comportato l'aumento di circa 1/3 dei prezzi, facendo crescere esponenzialmente la competitività dei principali mercati in Europa che, complice anche un franco svizzero forte rispetto all'euro, sono stati «ottimamente» frequentati dal turismo qualificato del Far East e non solo. Nei primi otto mesi 2013 l'orologeria/gioielleria venduta in Italia a turisti extracomunitari ha rappresentato il 15% del valore totale, con un incremento di quasi il 6% sullo stesso periodo del 2012. Il valore medio di tali transazioni ha superato i 2.600 euro e le vendite superiori ai 3.000 euro hanno costituito il 18% del totale, corrispondente però al 79% del valore generato: la clientela cinese ha fatto registrare uno strabiliante incremento del 3.000% dal 2006 a oggi. Ecco, allora, che l'Italia, in termini territoriali e non di consumi interni, è tornata a dire la propria in ambito orologiero e non solo. Anche in termini di stile le Maison haut-de-gamme stanno recuperando la bellezza senza tempo di una tradizione esaltata dal gusto e dalla cultura italiana (per esempio, il Tourbillon Historique di F.P. Journe), senza dimenticare le icone degli anni d'oro dell'orologeria pioneristica, al cui successo il nostro Paese ha fortemente contribuito, come il Royal Oak di Audemars Piguet o il Cosmograph Daytona di Rolex.
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