Giorgio Napolitano in videoconferenza con il convegno annuale di Cernobbio dello Studio Ambrosetti, ha affermato che «la crisi non è terminata e comunque è destinata a provocare serie conseguenze sul mercato del lavoro nei prossimi mesi». Non è chiaro a quali fenomeni negativi del mercato del lavoro intendesse riferirsi il presidente della Repubblica, ma per la disoccupazione, a cui questa frase sembra fare riferimento, il quadro in Italia è molto meno grave che nel resto dei paesi industriali. Infatti per l’Italia gli ultimi dati disponibili, sia sulla disoccupazione e sia sulla cassa integrazione guadagni con cui la si evita, non autorizzano previsioni catastrofiche. Le previsioni, anche fatte con strumenti meno semplicistici di quelli di cui si avvalgono gli organismi internazionali tipo Ocse e Fondo Monetario sono comunque opinabili. Non lo sono, invece, i dati di fatto che vengono rilevati sulla cassa integrazione e quelli circa le istituzioni che sono all’opera per combattere la disoccupazione. E tali dati, per l’Italia, per la disoccupazione sono molto migliori che per gli altri paesi.
In Italia la disoccupazione, secondo i dati ultimi è al 7,4 per cento, o al 7,9 per cento mentre nei 16 Paesi dell’area euro è arrivata in media del 9,5 per cento. Nei 27 Paesi dell’Ue è del 9 per cento, Negli Stati Uniti la disoccupazione a luglio di quest’anno è del 9,4 per cento. Tra i Paesi dell’area euro con il più basso tasso di disoccupati, l’Olanda (3,4 per cento), l’Austria (4,4 per cento) e Cipro (5,5 per cento), subito dopo nella graduatoria dei paesi con disoccupazione meno della media troviamo l’Italia mentre tra quelli con il tasso più elevato figurano Spagna (18,5 per cento), Lettonia (17,4 per cento) e Lituania (16,7 per cento). Per spiegare questi diversi dati occorre tener presente che in Italia per evitare i licenziamenti, e dare tranquillità al mondo del lavoro dispone di strumenti, come la cassa integrazione ordinaria e straordinaria che ha attivato ed ampliato, mediante la cassa integrazione in deroga. Il ministro Sacconi ha fatto e sta facendo moltissimo e Tremonti ha concentrato quasi tutte le munizioni finanziarie di cui disponeva nel settore dei cosiddetti ammortizzatori sociali, cioè le tre casse integrazione, i sussidi di disoccupazione e altre misure per prevenire la disoccupazione e combatterla con strumenti di economia sociale che danno protezione sociale ma non distorcono il funzionamento del sistema economico. Comunque i dati sulla Cassa integrazione di agosto confermano la tendenza, già registrata in luglio e in giugno, alla riduzione delle ore non lavorate sia della cassa ordinaria, che della straordinaria, che della cassa integrazione in deroga. Le ore complessive «integrate» sono state 53 milioni, cioè il 40,6 per cento in meno che in luglio. È vero che agosto è anche un periodo con un minor numero di giorni di lavoro di luglio.
Ma è anche vero che la diminuzione di una percentuale così elevata non sarebbe stata possibile se il problema occupazionale si fosse aggravato anziché ridursi. Inoltre questa è una media fra andamenti diversi. La cassa integrazione ordinaria nell’industria registra un calo del 48 per cento e nell’edilizia del 75 per cento. Dunque c’è una ripresa delle ore lavorate dell’industria e soprattutto dell’edilizia, che contrasta con alcune stime campionarie che darebbero per l’Italia una frenata dell’economia industriale, a differenza che per la Germania e l’Italia. C’è anche in Italia l’inversione di tendenza, sia pure ancora cauta, che si registra nei maggiori paesi industriali europei. La cassa integrazione in deroga in agosto segna un decremento del 35%, ossia molto inferiore a quello della cassa ordinaria. Ma ciò si spiega con il fatto che essa sta andando a regime e che in agosto sono state pagate ore di cassa integrazione di mesi precedenti. Comunque essa sta funzionando e copre lavoratori che con il regime precedente non erano coperti. E pertanto si ridimensiona l’allarme relativo alle categorie di lavoratori non coperti da ammortizzatori sociali.
Il fatto che ci sia una riduzione di uso della cassa integrazione non è solo un buon indice congiunturale. È anche un indice finanziario positivo.
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