di Marco De Bellis*
La legge Fornero ha posto ulteriori «lacci» e «laccioli» alle assunzioni, sia nel rapporto di lavoro subordinato, sia per chi vuole intraprendere un'attività di tipo autonomo. Un incipit che, ovviamente, non incide in maniera positiva sullo scenario socio-economico in cui riversiamo. Il mercato necessita di una maggiore flessibilità, capace di favorire l'occupazione, non soltanto per i giovani. Ci troviamo, però, dinanzi a un testo creatore di inutili e cervellotici vincoli. Questi ultimi, posti nella fase genetica del rapporto, servono soltanto a scoraggiare la nascita di nuove collaborazioni. Molti rapporti che prima sarebbero stati considerati precari, oggi non sorgono nemmeno. E così i precari restano disoccupati. In sostanza, la cura è stata peggiore della malattia. In un momento di crisi sarebbe stato opportuno consentire qualsiasi iniziativa decorosa, che permettesse ai giovani e ad altre categorie a rischio, come gli over cinquanta, di restare collegati al mondo del lavoro. Inoltre, mentre sul rapporto subordinato sono prossime delle novità «correttive», soprattutto sul contratto a termine, ci si è dimenticati del lavoro autonomo, che è - o meglio era - fonte di occupazione per milioni di persone. Prima c'erano le cosiddette «collaborazioni coordinate e continuative», abbastanza elastiche. Poi, con il contratto a progetto, l'elasticità è stata ristretta. Ora è stato ulteriormente «ristretto il campo» e, specie in un periodo di recessione, si è rivelata quantomeno una scelta inopportuna.
*Avvocato del Foro di Milano
(L'intervento integrale sul nuovo numero di «Dossier»)
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