Lavoro, legge Fornero: è forse una cura peggiore della malattia

di Marco De Bellis*

La legge Fornero ha posto ulteriori «lacci» e «laccioli» alle assunzioni, sia nel rapporto di lavoro subordinato, sia per chi vuole intraprendere un'attività di tipo autonomo. Un incipit che, ovviamente, non incide in maniera positiva sullo scenario socio-economico in cui riversiamo. Il mercato necessita di una maggiore flessibilità, capace di favorire l'occupazione, non soltanto per i giovani. Ci troviamo, però, dinanzi a un testo creatore di inutili e cervellotici vincoli. Questi ultimi, posti nella fase genetica del rapporto, servono soltanto a scoraggiare la nascita di nuove collaborazioni. Molti rapporti che prima sarebbero stati considerati precari, oggi non sorgono nemmeno. E così i precari restano disoccupati. In sostanza, la cura è stata peggiore della malattia. In un momento di crisi sarebbe stato opportuno consentire qualsiasi iniziativa decorosa, che permettesse ai giovani e ad altre categorie a rischio, come gli over cinquanta, di restare collegati al mondo del lavoro. Inoltre, mentre sul rapporto subordinato sono prossime delle novità «correttive», soprattutto sul contratto a termine, ci si è dimenticati del lavoro autonomo, che è - o meglio era - fonte di occupazione per milioni di persone. Prima c'erano le cosiddette «collaborazioni coordinate e continuative», abbastanza elastiche. Poi, con il contratto a progetto, l'elasticità è stata ristretta. Ora è stato ulteriormente «ristretto il campo» e, specie in un periodo di recessione, si è rivelata quantomeno una scelta inopportuna.

Le leggi a tutela del lavoro subordinato esistono almeno dai primi anni Settanta, efficaci e rigorose: chi avesse intrapreso un rapporto di lavoro subordinato sotto le mentite spoglie del lavoro autonomo avrebbe, comunque, avuto tutele, indipendentemente dalla legge Fornero, potendo far accertare dal giudice la natura subordinata del rapporto.
*Avvocato del Foro di Milano
(L'intervento integrale sul nuovo numero di «Dossier»)

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