«Lazio, ricoveri ospedalieri anche quando non servono»

Il ministero della Salute mette «on line» i risultati dell’indagine sulla qualità ed efficienza rilevati nelle asl dell’intero territoriale nazionale e ne esce un quadro drammaticamente preoccupante con un’Italia divisa in due. Al centro-nord, in generale, efficienza e qualità al sud una situazione critica. Ne parliamo con Cesare Cursi, responsabile nazionale Salute e Affari sociali del Pdl e presidente della X commissione permanente del Senato.
Il Lazio è più vicino alle luci del settentrione del Paese o alle ombre del sud?
«Sta in un limbo del tutto particolare. La qualità delle prestazioni è riferibile in molti casi a quella erogata dalle Regioni più virtuose, l’intero sistema socio-assistenziale, invece, presenta immense lacune».
Il Lazio però, al di là dei conti, sembra al riparo da performance negative?
«L’indagine ministeriale riporta il quadro di una Regione caratterizzata da profonde contraddizioni e, soprattutto, mostra il ricorso a una eccessiva ospedalizzazione, non riferita tanto alla quantità dei posti letto a disposizione quanto all’inappropriato ricorso che viene fatto dal cittadino verso la struttura ospedaliera. Si pensi che nel Lazio contiamo il 27 per cento di ricoveri di degenza massima di uno o due giorni, quindi inutili, contro appena il 15 per cento del Veneto».
Il programma del Pdl dice a chiare lettere «più territorio, meno ospedale».
«Dobbiamo spostare il nostro sistema da una logica ospedalocentrica, che ha caratterizzato la sanità italiana degli ultimi cinquant’anni, verso un’assistenza integrata ospedale-territorio, in grado di rispondere adeguatamente ai nuovi scenari demografici e ai nuovi bisogni assistenziali che ne derivano».
Il Paese invecchia, entro il 2050 un italiano su tre avrà più di cinquant’anni. Il Lazio è pronto a questa sfida?
«È una necessità dalla quale è impossibile prescindere. Ci dobbiamo attrezzare. Tra vent’anni non sarà più possibile, come avviene ancora oggi, assistere in ospedale pazienti con patologie come il diabete o altre malattie croniche. Il Lazio deve modificare la propria offerta sanitaria».
In che modo?
«Pensiamo al Veneto. Ha circa gli stessi abitanti del Lazio e una politica avveduta ha riservato circa 18.000 posti letto agli anziani. Nel Lazio siamo appena a quota 2.000. Abbiamo molto da recuperare».
Ha fiducia sugli effetti del federalismo fiscale a livello della sanità regionale?
«La sanità del Lazio, ma dell'intero Sud del Paese direi, non sarà penalizzata dal federalismo fiscale perché l’ammontare delle risorse in gioco non sarà toccato. In più è ormai assodato che la sanità buona costa meno di quella cattiva».
Ma la maggiore responsabilizzazione sulla gestione delle risorse a disposizione eviterà allegre politiche di spesa?
« Credo che si accentuerà ancor di più la logica del fallimento politico legato a una cattiva gestione della sanità e ai conti in rosso. Un processo del resto già in atto, a prescindere dal federalismo fiscale con l'avvio dei Piani di rientro che ha già dato ottimi risultati in Abruzzo e Sicilia».
Il messaggio è chiaro. Rimanere ancorati alla qualità del centro-nord per non essere risucchiati dal vortice meridionalista.


«Il traguardo è una sanità solidale che garantisca pari qualità ed efficienza delle prestazioni su tutto il territorio nazionale. Nel frattempo il Lazio dovrà dotarsi di un proprio modello che gli permetta di uscire dall'attuale situazione di deficit. Abbiamo le risorse umane e culturali per farlo. Sta a noi iniziare nel modo migliore».

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