Roma - Il curato e il Professore: una fiction che va in onda da qualche tempo su Palazzo Chigi educational.
Il curato cura gli alleati, solletica la loro vanità ma soprattutto le loro debolezze, gioca con programmi lunghi e articolati, ascolta e comprende. Sbuffa, cade goffamente e goffamente si rialza, dice e non dice, scongiura il capo dello Stato di concedergli un’altra prova. Incassa persino un «poverino» dal capo dell’opposizione. Distribuisce «carotine» a largo raggio. Zanahorias, pare si chiamino in Argentina.
Il Professore arriva sempre dopo il curato, quando la buriana è passata. Allora gli ingenui stentano a riconoscerlo. Diventa il bulldozer di Scandiano, Romano Prodi, e rivendica ogni scelta: «Ho preso misure impopolari, ma che volete che faccia: una buona politica o rincorra i sondaggi? Ho studiato economia tutta la vita, volete che non sappia cosa devo fare?...». Sa benissimo che deve negare persino l’evidenza, e nega che siano aumentate le tasse ai soliti noti.
Gli alleati sotto botta, gli alleati della «carotina» che lo sentono parlare dai microfoni di Radio 24 hanno di che drizzare le orecchie. L’ultimatum è proprio un «ultimatum»: la crisi è stata una «salutare lezione» per tutti. «La coesione non viene con la carota, viene con il bastone, la maggioranza deve essere coesa, ha capito che non ci sono più margini per giochi e giochini», dice il Professor Prodi, che vuole durare cinque anni e non soltanto nove mesi, che «bastano per far nascere un bambino, non per cambiare l’Italia». E finisce per infierire sulla sinistra in ripiegamento, con una battuta (da curato): «La fifa fa novanta...».
Ne ha per tutti, il premier, che bacchetta anche Pippo Baudo. Il cappuccino offerto dall’intervistatore Santalmassi lo rinvigorisce tre volte tanto. «Il sistema è quello che è, ma nei 12 punti programmatici un impegno all’unità è stato preso e verrà fatto rispettare». Una vera e propria «mordacchia ai ministri» e nei casi di indisciplina «la reazione sarà molto più robusta». Certo, negli altri sistemi «il premier può mandar via i ministri senza nessun problema, mentre da noi non si può... Quando ero presidente della Commissione Ue ogni commissario mi aveva dato una lettera in bianco di dimissioni che potevo usare...», aggiunge con una punta di rammarico. Però promette ai sottosegretari che sono ancora parlamentari, ancorché le loro dimissioni vengano respinte «per mettere in difficoltà il governo», che verranno loro «ritirate le deleghe».
Parla ancora di politica estera, il Professore, ma non s’infila nel solito cul de sac afghano. Attacca piuttosto il governo precedente perché «ha spiegato che si andava in Irak anche per ricevere benefici economici dalla guerra, e invece l’Italia ha ricevuto soltanto briciole...». Come un treno blindato, Prodi assicura che «riuscirà a superare il passaggio parlamentare per la Tav», e ha già elementi per dire che «la Ue non boccerà il cuneo fiscale».
Infine si dedica alle riforme: cambierebbe il bicameralismo perfetto e lo «stranissimo» regolamento del Senato che «somma i no alle astensioni». Ma soprattutto Prodi non dimentica il sentiero indicato dal Colle, che gli sta allungando la vita: la riforma elettorale. Un impegno preso con il presidente Napolitano cui il Professore intende dare una cornice che non lo costringa alle dimissioni, non appena varate le nuove norme. «La legge elettorale è fatta per entrare in vigore a fine legislatura - dice sibillino -, ma se uno riesce a dare stabilità a questo Paese può anche andare a casa...». Prodi chiede che «lo sforzo cominci subito: se non cominciamo ora, la legge sarà fatta in modo pasticciato... troppa è la tentazione a fine legislatura di fare una legge a proprio uso e consumo».
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