Per Gianfranco Fini l’ideologia fascista «non spiega da sola l’infamia delle leggi razziali». Il presidente della Camera chiama in correità nella vergognosa decisione presa dal governo di Mussolini non soltanto «la società italiana» che si adeguò (e qui Fini forse sorvola troppo in fretta sul fatto che il fascismo era un regime poco propenso alle opposizioni, come insegna il caso Matteotti), ma anche la Chiesa. Leggendo le sue parole si può avere l’idea di una Chiesa cattolica acquiescente nei confronti delle decisioni del Duce. Le cose, però, non stanno affatto così, come ha precisato Radio Vaticana, correggendo Fini attraverso i commenti degli storici Francesco Malgeri e Andrea Riccardi: «La Chiesa reagì subito alle Leggi razziali del 1938». Mentre lo storico di Civiltà Cattolica Giovanni Sale ha dichiarato: «Pio XI è stato la sola personalità pubblica del suo tempo a opporsi apertamente a Mussolini per la sua politica antisemita».
La questione è complessa, densa di sfumature. Pio XI non è rimasto in silenzio, ma ha parlato pubblicamente contro il «Manifesto della razza». Il 15 luglio 1938, il giorno dopo la pubblicazione, durante un’udienza a delle suore, Papa Ratti dice: «Oggi stesso siamo venuti a sapere qualcosa di molto grave: si tratta, ora, di una vera apostasia». E aggiunge parole contro «quel nazionalismo esagerato, che ostacola la salvezza delle anime, che innalza barriere tra i popoli». Il 21 luglio, ricevendo in udienza gli assistenti ecclesiastici di Azione Cattolica, ritorna sulla questione: «Cattolico – dice il Papa – vuol dire universale, non razzistico, nazionalistico, separatistico». Queste ideologie – continua – finiscono «con il non essere neppure umane». Il 28 luglio rivolgendosi agli alunni di Propaganda Fide, Pio XI ribadisce: «Il genere umano non è che una sola e universale razza di uomini. Non c’è posto per delle razze speciali... La dignità umana consiste nel costituire una sola e grande famiglia, il genere umano, la razza umana».
Negli ultimi mesi del 1938, dopo la promulgazione delle leggi razziali, la linea della Santa Sede è quella di cercare di attenuarne gli effetti, come dimostrano le trattative serrate e spesso tesissime, tra Vaticano e governo. La Civiltà Cattolica non condanna pubblicamente la legislazione antisemita, anche se in vari articoli pubblicati in precedenza aveva preso le distanze dalle teorie razziste. Il «silenzio» dell’autorevole rivista dei gesuiti è provocato da un decreto ministeriale che impone «la proibizione di pubblicare commenti sulla questione razziale divergenti dal senso del Governo nazionale». È il fascismo, dunque, a imbavagliare gli organi di informazione cattolici proibendo loro di intervenire contro il manifesto della razza e anche di rendere note le parole già pronunciate da Pio XI. L’8 agosto 1938 Montini, sostituto della Segreteria di Stato, informa il governo americano di questi provvedimenti, in modo che all’estero non si dica che il Vaticano e la stampa cattolica tacciono sui provvedimenti per pusillanimità o per complicità con il regime. Dai documenti degli archivi vaticani risulta dunque che il Papa aveva fatto il possibile per evitare la promulgazione di leggi discriminatorie nei confronti degli ebrei, e poi aveva tentato di limitarne gli effetti. In quei mesi la Santa Sede metterà in moto iniziative per aiutare gli ebrei discriminati, chiedendo attraverso le nunziature che fossero accolti in vari Paesi, come dimostrano i dispacci inviati dal Segretario di Stato Pacelli.
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