Letteratura

Una "gatta selvatica" fragile come cristallo. La divina Callas fra musica e amori malati

Signorini racconta la cantante e le sue relazioni, anche attraverso le lettere

Una "gatta selvatica" fragile come cristallo. La divina Callas fra musica e amori malati

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Una "gatta selvatica" fragile come cristallo. La divina Callas fra musica e amori malati

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Giornalista, scrittore, conduttore televisivo, regista di melodrammi. Alfonso Signorini, uno e trino, anzi quadruplo. Quintuplo ora che torna alla ribalta un suo volume dedicato alla dea della lirica, Maria Callas. Troppo fiera, troppo fragile. Romanzo della Callas, questo il titolo, edito Mondadori (pagg.
312, euro 20), riprende l’edizione del 2007 però rimaneggiata e rimpolpata con nuovi contenuti ripresi da un altro centinaio di lettere autografe della cantante, in genere la minuta delle lettere indirizzate ad amici ma anche a se stessa.
«Ho rimesso mano a materiali che potevano essere ulteriormente approfonditi. E così ho fatto emergere relazioni che prima soffrivano accanto a quella preponderante con Onassis» spiega Signorini. Sfilano gli amori impossibili con Luchino Visconti, Pier Paolo Pasolini, Giuseppe Di Stefano, «la seconda parte della sua vita», ancora Signorini che ripropone lo stesso titolo perché Callas era sì anima fragile, di cristallo, ma pure la fierezza fatta persona, «prima donna con tutti i sacri crismi, e risvolti del caso. Un mistero della natura, era tutto e il contrario di tutto: sulla scena e nella vita.
Poteva cantare quest’oggi Wagner e dopo due giorni i Puritani di Bellini, un’impresa impossibile per tutti. Eppure lei riusciva a esplorare tutte le gamme, e a dare un colore personale. Una voce per sua natura non bella, Toscanini la definì da gatta selvatica». Però con la sua interpretazione ha riscritto pagine del melodramma. E dire, continua Signorini, che nella quotidianità «era una borghesuccia, finita, fra le varie cose, nella rete del greco Onassis, e così venne consumata da un dramma da tragedia greca che fece vivere Maria uccidendo, però, la Callas cantante. Pare che fosse noiosetta nella quotidianità, non è che si potessero avere grandi conversazioni con lei, era tutto fuorché colta. Però sulla scena si trasformava. Nata per essere unica e condannata alla sua unicità».
Umanamente arida. Si dice che «a un Sant’Ambrogio scaligero dove la prima donna era Tebaldi, lei si fosse presentata con lunghi guanti neri e a fronte del marito che la invitava a levarseli, lei rispose che grazie ai guanti gli applausi sarebbero stati più silenziosi».
Una cosa è certa. Era una professionista seria, studiosa, lavoratrice. Perché il talento non basta mai, neppure se nasci Callas.
«Aveva un gesto estremamente misurato. Lei fece nel canto quello che Chanel fece nella moda, levò gli orpelli. Canto che aveva solo bisogno di essere ascoltato.
Purtroppo lei si fece del male, ed è di questo male che io parlo, parlo di una vita usata per costruire una carriera che la portò alle vette apicali dell’arte, compensata da amori malati. Era affascinata dalla sensibilità del mondo omosessuale, intrigata da Pasolini e Visconti, per esempio».
Signorini ha presentato il suo volume ieri al Teatro alla Scala di Milano, «una gioia perché rivedo la mia vita. La mente va alla Turandot che vidi nel 1993, e per la quale svenni. Penso alle mie serate da loggionista sfegatato. Quindi presentare il mio libro qui è un sogno che si avvera.


Anche per questo sono grato alla vita, non è che le cose vadano sempre così bene».

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