Prima era solo inutile e dispendiosa. Adesso è anche dannatamente pericolosa. L'attentato di ieri in Libano è l'estrema e letale involuzione di una missione Onu nata male e proseguita peggio.
Per comprendere i motivi della presenza di 1800 caschi blu italiani nel sud del Libano bisogna riandare al cessate il fuoco che il 15 agosto 2006 mette fine alla sanguinosa guerra tra Israele ed Hezbollah. La risoluzione 1701 che chiude le ostilità è come sempre un miscuglio d'ipocrisia e buoni sentimenti. Già allora tutti sanno che la nuova operazione Unifil garantirà una pace temporanea, ma non impedirà a Israele ed Hezbollah di preparare una nuova guerra. Gli unici a fingere di ignorarlo sono i ministri di un governo Prodi che non esita, all'epoca, a parlare di «missione storica». La gentile ipocrisia è garantita, al tempo, dalla presenza a Beirut di un governo antisiriano. L'esecutivo guidato da Saad Hariri, ha - all'epoca - tutto l'interesse a collaborare con i caschi blu per fermare il riarmo di Hezbollah. Oggi non è più così. Il Partito di Dio, grazie all'appoggio di Teheran e Damasco non solo si è riarmato, ma ha anche usato la ritrovata potenza militare per mettere le mani sull'esecutivo. Lo scorso gennaio Saad Hariri, vincitore delle ultime elezioni, ha dovuto dimettersi e lasciar il posto a Nagib Mikati, un miliardario al soldo del Partito di Dio e dei suoi alleati siriani e iraniani. In questa situazione illudersi che l'esercito libanese collabori con i caschi blu per eseguire il mandato Onu e bloccare le armi di Hezbollah è pura, ridicola utopia.
Ma a render pericolosa oltre che inutile la missione contribuisce il progressivo degrado della sicurezza determinato dall'instabilità in cui è sprofondato il Paese. A tutt'oggi il premier incaricato Mikati non è riuscito a mettere insieme una coalizione in grado di garantirgli il controllo del parlamento e della nazione. E così mentre i sunniti di Hariri ed Hezbollah preparano la guerra civile il Libano scivola nel caos. La situazione della vicina Siria, alle prese con una devastante insurrezione interna, contribuisce al degrado. Dal Libano passano, con la benedizione dei servizi segreti sauditi, le armi dirette verso il confine siriano e destinate ai fondamentalisti sunniti in lotta contro Bashar Assad. Gli estremisti sunniti che in Libano fanno da ponte a questi traffici ne approfittano per riempire i propri arsenali. In questo convulso scenario le formazioni sunnite più vicine all'ideologia salafita e al qaidista si muovono come pesci nell'acqua. L'attentato avvenuto durante un trasferimento dei nostri militari da Beirut ai territori a sud del fiume Litani è stato, non a caso, messo a segno in quella zona di Sidone dove la presenza di due grandi campi profughi palestinesi garantisce un’elevata infiltrazione alqaidista. In questa complessa e ingestibile situazione i nostri 1800 caschi blu si ritrovano ridotti al ruolo di bersagli mobili. Combattere o contrastare l'infiltrazione integralista in Libano non rientra nel mandato Onu e dunque, nonostante l'attenzione della nostra intelligence, i nostri uomini sono nell'impossibilità di difendersi dagli attacchi. Pensare di delegare prevenzione e sicurezza alle forze di sicurezza libanesi è ormai pura utopia. Bisogna dunque chiedersi fino a quando continueremo ad assumerci rischi e responsabilità che vanno ben oltre il mandato affidatoci dall'Onu. Senza contare l'evidente disparità tra l'entità del nostro contingente, forte di 1800 uomini, e quelli degli altri Paesi. La Spagna, oggi al comando delle operazioni, mantiene in Libano poco più di un migliaio di soldati. L'ex potenza coloniale francese contribuisce con poco più di 1300 militari. Per non parlare dei 190 tedeschi, dei 136 danesi e dei 104 belgi. E della totale assenza inglese.
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