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"Collezione donna e Usa. Il futuro di Boggi è global"

Il presidente dello storico brand di moda maschile, Claudio Zaccardi. "Dal negozio a Monza dei nonni, oggi in 60 Paesi"

"Collezione donna e Usa. Il futuro di Boggi è global"

E poi arrivò la donna. Perché? Non ci pensa neanche un attimo Claudio Zaccardi, presidente di Boggi Milano, storico marchio di moda maschile. "Fare l'uomo è facile, ormai anche un po' noioso. Poi ho anche tre figlie, in casa non si parla che di abiti da donna. A parte gli scherzi, la chiamerei... un'evoluzione naturale. Manca un classico ben fatto, con tessuti belli e tagli puliti, a prezzi umani. I grandi brand fanno uomo e donna: se vuoi essere lifestyle, devi abbracciare la famiglia intera".

Così, dalla costola di Boggi è nata anche la collezione per lei. Com'è la vostra donna?

"È quella che entra nei nostri negozi ad accompagnare figli e marito a fare acquisti. È dinamica, metropolitana, una donna che lavora, sceglie il blazer come grammatica dello stile. Bei tessuti, bei tagli. Colori naturali. Beige, tortora, blu, nero. Mai troppo urlata. Pensiamo a una donna che va rubare nel guardaroba di lui. La femminilità? La fai coi tagli: spalle evidenziate, vita sciancrata. Una giacca può essere molto più sexy di un abitino succinto. Una donna che stia bene accanto al nostro uomo. Oggi il test è in 10 negozi, due anni per mettere a punto vestibilità e filiera. I primi dati ci dicono che siamo sulla strada giusta".

Una strada che parte da lontano, la vostra, prima ancora di avere acquisito Boggi, nel 2003, e l'apertura dei negozi BRIAN & BARRY. Inizia a Monza, con un negozietto di abiti per bambini che aveva la vostra mamma...

"... e prima ancora i nonni paterni. Il nonno, che non ho mai conosciuto, era un sarto, realizzava capi da bambini che poi mia nonna vendeva in negozio. E lì è andata a lavorare anche la mamma dopo avere sposato, giovanissima, mio padre, anche lui in attività nell'abbigliamento ma per una società piemontese. Mamma mi raccontava che quando ero appena nato mi portava con lei e mi metteva a dormire dentro a un cassetto del negozio. Abbiamo vissuto tutta la vita di abbigliamento. Tutti noi fratelli siamo stati sempre lì, in negozio. Finché nell'86 abbiamo spostato mamma in un negozio più piccolo e quello storico lo abbiamo trasformato nel multibrand da uomo, il primo BRIAN & BARRY".

Quanti anni avevate?

"Io 17, mio fratello Carlo 19 e Roberto appena 13. Ed è stato un successo enorme. Due anni dopo ne abbiamo aperto un altro di fronte. Quando nel '90 eravamo pronti per aprire il terzo, mio papà muore. Giovanissimo, aveva appena 49 anni. Apriamo comunque il terzo negozio. Ecco, ci siamo fatti la pelle così. Siamo nati da zero. Ma siamo sempre stati molto uniti e siamo andati avanti".

Appena qualche mese fa è venuto a mancare suo fratello Carlo.

"È stata una perdita enorme per me. Abbiamo sempre fatto tutto insieme. Mai una discussione, cioè discutevamo, magari litigavamo anche ma sempre in modo costruttivo perché avevamo lo stesso obiettivo. È stato molto bello e chi ci è stato vicino ha vissuto questa cosa con noi. Grazie a Dio ho il fratello più piccolo e il quarto socio, per noi un fratello acquisito, Fabrizio Fassino con cui condividiamo le scelte. Lo aveva assunto già mio padre ed è sempre rimasto con noi".

La mamma vi ha sempre sostenuto?

"Di più. La vera coraggiosa è stata lei in famiglia. Ci ha spinto a buttarci, sempre con il suo appoggio: "Facciamolo", ci spronava".

Nel 2003 l'incrocio che cambia il destino.

"Compriamo Boggi, allora circoscritto a Milano e alla Lombardia. Inizialmente volevamo trasformare qualcuno dei 22 negozi in BRIAN & BERRY, poi scopriamo una forza di marca pazzesca: facemmo una svendita dove ci furono code per mesi. Rimasero Boggi. Da lì, quasi 25 anni dopo, eccoci qui".

Diamo i numeri.

"Siamo in 60 Paesi, 290 punti vendita. E un fatturato nel 2024 di 327 milioni di euro".

Prossima frontiera?

"La vera sfida sono Cina e Giappone. L'ultimo passo per essere davvero global. Intanto prosegue la nostra espansione in America. Siamo sbarcati a New York con tre negozi, il quarto aprirà a Miami a febbraio. Il piano è quinquennale. 18 aperture, prima East Coast, poi Florida, Texas e California. Ogni store deve crescere del 15-20% l'anno per cinque anni, poi si assesta su un 6-7%: è così che costruiamo la clientela".

La scossa americana dei dazi non vi ha fatto vacillare?

"Il problema non è la percentuale, ma l'incertezza per noi che programmiamo la merce otto mesi prima. Il secondo trimestre è stato il più difficile proprio per questo. Poi meglio, ma il tema non è chiuso".

La vera difficoltà oggi qual è?

"Trovare il personale di negozio giusto. Eppure la differenza la fa la relazione: abbiamo venditori che superano il milione l'anno, gli One Million Club".

Chi segue la selezione?

"Store manager e vice li voglio vedere io. Capisci subito se uno sa accogliere, ascoltare, consigliare. Faccio scouting in viaggio, chiedo il biglietto da visita e li rivedo. E poi abbiamo yna vera e propria Academy. Ogni nuova risorsa passa da lì: valori, prodotto, tecniche di vendita. Da Boggi non si entra alla cieca".

Cosa vuole dire diventare sempre più global?

"Faremo profumi, eyewear. Il brand oggi è lifestyle a 360 gradi. Ora ci siamo allargati con la donna. Abbiamo già una piccola pet collection ispirata al guardaroba maschile".

E chissà magari anche un boggino in onore all'inizio della vostra storia.

"Ci stiamo già pensando a dire la verità..."

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