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L'invasione del Dragone a due teste

Pensionati in tour a prezzi stracciati e miliardari che spendono il triplo dei russi. In Italia ogni anno quasi 3 milioni di visitatori

L'invasione del Dragone a due teste

Xu Zhonging, soprannominato Johnson, è nato a tre ore di macchina da Pechino e di mestiere fa il maestro di sci. Insieme a sette colleghi, tutti cinesi, è stato assunto dall'Ufficio del turismo svizzero. Lavora nelle località più alla moda della Confederazione, St.Moritz, Zermatt, Gstaad, Davos, con una missione precisa: attirare i miliardari con gli occhi a mandorla appassionati di sport invernali. Xu parla la lingua, conosce le loro abitudini, cerca di ridurre al minimo le loro difficoltà nell'affrontare gli impegnativi pendii alpini. In più tiene corsi ai suoi colleghi svizzeri su come trattare i clienti in arrivo da Pechino e dintorni, e alimenta una applicazione in cinese per smartphone con lezioni di sci e suggerimenti sulle località turistiche elvetiche.

Il maestro Xu e i suoi compagni sono l'ultimo simbolo dell'invasione strisciante avvenuta negli ultimi anni in mezza Europa, l'unica che non ha suscitato proteste, ma che anzi continua a far girare i registratori di cassa a pieno ritmo: la calata dei turisti cinesi. I numeri del fenomeno sono da capogiro, più da migrazione biblica che da boom turistico. Nel corso del 2015 i cinesi che hanno fatto un viaggio all'estero sono stati oltre 127 milioni, più del doppio che nel 2010. In giro per il mondo hanno lasciato la bella cifra di 229 miliardi di dollari: cinque volte quanto speso solo cinque anni fa. L'Italia è in prima linea: oltre che alle società di calcio i cinesi stanno dando l'assalto anche ai nostri monumenti. Secondo uno studio di Confturismo i visitatori in arrivo da Pechino nella Penisola hanno raggiunto quota 2,6 milioni. Per il nostro Paese la Cina è ormai il quinto mercato turistico, dopo Germania, Stati Uniti, Francia e Gran Bretagna.

TOUR DE FORCE

«Solo dieci o undici anni fa di tutto questo non c'era nulla», spiega Giancarlo Dall'Ara, docente di marketing del turismo specializzato sul mercato asiatico. «Di fatto fino al 2004 in viaggio in Italia c'erano solo delegazioni ufficiali. Nel 2005 lo Stato ha riconosciuto il nostro Paese come destinazione turistica autorizzata e da lì è partito tutto». Il boom economico e la crescita di una borghesia con buone possibilità di spesa hanno fatto da motore della crescita. «Per anni il modello dominante è stato quello del turismo di massa, gruppi da 50/60 persone in viaggio con ritmi da vacanza industriale e costi ridotti al minimo. Con l'esplosione dei social network, in Cina ben più diffusi che da noi, e utilizzati anche per programmare e prenotare le vacanze, si sono aperti spazi enormi per il turismo individuale».

A dominare il panorama delle nostre città d'arte è ancora la folla di turisti «mordi e fuggi»: piccola borghesia e pensionati che per l'equivalente di non più di 1.300/1.500 euro acquistano pacchetti tutto compreso con programmi tipo catena di montaggio. L'itinerario standard prevede che in 10/13 giorni si visitino tre Paesi europei: si parte da Roma con stop nelle tappe italiane d'obbligo (di solito Firenze, Venezia, Milano), poi attraverso la Svizzera o la Germania si arriva in Francia, per ripartire da Parigi. Oppure si fa esattamente il contrario, si arriva a Parigi e si riparte da Roma. Le ricadute sulle località visitate sono minime. Buona parte del tempo trascorre in pullman, in ogni città si dorme al massimo una notte e di solito si mangia in ristoranti cinesi. Per una questione di prezzo ma anche perché le caratteristiche del pasto all'italiana sono del tutto estranee al cinese medio (vedi il box al piede della pagina). «È anche per i sapori e per i cibi così diversi dai nostri», spiega Hua, laurea in lingue a Shanghai con specializzazione in italiano, guida turistica sempre in viaggio tra la Cina e il nostro Paese. «Facciamo molta fatica ad abituarci. Al massimo quando siamo a Firenze organizziamo una serata a base di bistecche».

ARRIVANO I MILIONARI

Il vero fenomeno degli anni più recenti è però l'emergere di un altro tipo di turismo cinese, quello della nuova classe dirigente con buone disponibilità economiche e, talvolta, gusti raffinati. Anche in questo caso sono le statistiche a dare un'idea di quello che sta succedendo: secondo l'annuale rapporto di Capgemini sulla ricchezza globale, il numero dei cinesi che hanno a disposizione almeno un milione di dollari in mezzi finanziari (escluse case e tutto quello che serve per vivere) è cresciuto del 20% solo nell'ultimo anno, superando il milione di persone. Sempre nel 2015 la Cina ha superato gli Stati Uniti per numero di «billionaire», persone con un patrimonio di almeno un miliardo di dollari. Il risultato è che tra i turisti stranieri in viaggio in Italia, i veri paperoni non sono gli oligarchi russi come ci si aspetterebbe, ma proprio i nuovi ricchi cinesi.

In base ai dati di Global Blue, la società che gestisce il servizio di Tax free shopping, la spesa dei turisti vip cinesi in Italia è il triplo di quello dei turisti russi. E lo scontrino medio è pari a 944 euro (contro una media di 804 per i turisti vip extracomunitari e un misero 699 euro per i ricchi russi). Un trend in ascesa nonostante i primi mesi del 2016 abbiano fatto registrare una battuta d'arresto negli arrivi e nella spesa per il combinarsi di tre fattori: l'entrata in vigore dell'obbligo del passaporto biometrico che ha complicato le procedure di visto, il rallentamento dell'economia asiatica e i timori per il terrorismo in Europa, che ha colpito particolarmente l'immaginario cinese.

A occuparsi dei milionari in arrivo dal Regno di mezzo sono agenzie come ItalyBao, fondata qualche anno fa da Simone Sturla, laurea in lingue orientali a Ca' Foscari e studi all'università di Pechino. «In realtà il vip cinese appartiene ad almeno due categorie diverse», spiega. «C'è chi ha grandi disponibilità economiche e anche un elevato livello culturale, perché magari è nato in una famiglia della nomenklatura. In questo caso organizziamo per esempio contatti e cene con esponenti della cultura o della nobiltà italiana».

VERDI A PECHINO

Poi ci sono i nuovi ricchi. «E qui il compito dei nostri travel butler, gli assistenti di viaggio che accompagnano i clienti, di solito italiani che hanno vissuto a lungo in Cina, in grado di barcamenarsi tra due lingue o due culture diverse, diventa particolarmente complicato». Uno dei problemi, dice Sturla «è che i nouveaux riches cinesi non percepiscono l'antico come valore. Ci è capitato di portare un visitatore in un museo vaticano e che questi chiedesse al nostro accompagnatore, un alto prelato, se poteva comprare gli oggetti esposti. Un altro ci aveva chiesto di organizzargli un soggiorno veneziano sul modello del film The tourist. Abbiamo prenotato la suite del Danieli, dove il film è stato girato. Quando ha visto l'albergo, ha incominciato a dire che era vecchio, sembrava una casa degli spiriti e abbiamo dovuto trovare un'altra sistemazione tutta vetro e acciaio».

Senza arrivare a questi estremi il futuro del turismo cinese sembra comunque più orientato a viaggi e iniziative «su misura», orientate al viaggiatore individuale dai gusti già «svezzati». Romolo Nardiello, per esempio, dirige da Lucca Evento Italiano, un'agenzia specializzata in viaggi culturali. «Per i cinesi organizziamo tour sui luoghi verdiani, concerti tra Ravello, le Terme di Caracalla, il Festival pucciniano e l'Arena di Verona. E l'accoglienza è molto positiva. Del resto è facile capirlo: la Cina è un universo in cui c'è di tutto. Comprese 50 milioni di persone che studiano la musica classica occidentale.

Un mercato enorme».

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