Liti e furti tra suore di clausura

La procura indaga sulla guerra interna al convento di Gubbio delle Clarisse. Cacciate tre sorelle che denunciano aggressioni, violenze da parte della badessa e la sparizione di gioielli per un milione di euro

Liti e furti tra suore di clausura

Gubbio - Non porgono l’altra guancia. Non perdonano. Pregano sì, ma chi i carabinieri, chi la magistratura, di risolvere una volta per tutte a loro favore la controversia religioso- giudiziaria che si trascina nel silente monastero Buon Gesù delle clarisse cappuccine sacramentarie di Gubbio. Qui due fazioni di suore di clausura si stanno massacrando con maldicenze, ingiurie irripetibili, umiliazioni, spintoni in refettorio, accuse di omosessualità, persino di ruberie.

Una delle tre sorelle bandite dalle gerarchie ecclesiastiche, poco prima del forzato trasferimento ai cappuccini di via Veneto a Roma, lamenta il furto di gioielli regolarmente catalogati all’ingresso nel convento di Gubbio per un valore di un milione e 100mila euro: tre crocifissi di rubini, oro e brillanti, cinque medaglie raffiguranti la Vergine Maria tempestate di acque marine e smeraldi, cinque scapolari d’oro guarniti di pietre preziose, tre grosse catene inoro e molti altri oggetti preziosi, frutto di un’eredità lasciata da mamma e papà, possidenti benestanti.

Furto aggravato, l’accusa ipotizzata. In risposta, le madri superiore hanno mandato (invano) ic arabinieri a perquisire le stanze del trio ribelle, imputando loro il furto di misteriosi e imprecisati «documenti». Insomma, nella quieta della comunità religiosa allocata nella terra di San Francesco e il lupo, l’autorità giudiziaria e quella vaticana sono state costrette a intervenire in religioso silenzio.

Protagoniste dell’affaire, una sorella messicana, Maria, una novizia spagnola, Maria Soledad, e un’altra colombiana, Alicia. Che al termine dell’ennesimo affronto hanno preso coraggio denunciando le superiori e le alte autorità ecclesiastiche colpevoli di averle denigrate, diffamate, insultate e calunniate. Per oltrepassare l’invalicabile muro della clausura e recapitare in Procura l’esposto con l’esposizione delle prepotenze subite e i dettagli della refurtiva introvabile, le tre clarisse si sono affidate all’avvocato Carlo Taormina. Che ha subito inoltrato un atto di denuncia-querela basato – scrivono le sorelle nell’esposto - su un piano strategico finalizzato ad allontanare le tre suore dal convento per impossessarsi dei gioielli.

La guerra interna, inizialmente a bassa intensità, deflagra in poco tempo. Il clima si fa presto ostile tanto che le tre clarisse si rivolgono al commissario pontificio per essere spostate in un’altra comunità. Anche suor Chiara, «maestra delle postulanti e delle novizie», e la madre badessa, suor Pace Celedòn, scrivono alla Civcsva (Congregazione per gli istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica) per chiedere di potersi allontanare per tre anni dal monastero. Nessuno risponde. Fino a che, il 26 ottobre del 2007, viene imposta per decreto «la dimissione» delle novizie, evitata grazie all’intercessione della madre badessa, suor Pace, convinta della loro sincera vocazione. Ma la contesa non si ferma.

Al monastero viene inviato un commissario pontificio, suor Maria Daniela Pozzi. Se suor Chiara e suor Pace testimoniano dell’assoluta bontà della fede delle novizie, il commissario, che in un primo momento - dicono le tre suore - le aveva apprezzate, dopo il loro allontanamento del 3 giugno2008, le definisce «assolutamente inadatte alla vita religiosa» e fa in modo che il suo parere viaggi di convento in convento. La madre badessa, suor Pace, con l’arrivo del commissario capovolge le sue convinzioni e il vescovo di Gubbio, Mario Ceccobelli – sempre a dette delle tre suore - riunisce i parroci della sua diocesi invitandoli a non dare loro ospitalità.

Intanto la Civcsva diffonde la notiziadella «dimissione forzata» delle novizie, scelta di norma compiuta verso chi crea scandalo o ha gravi turbe psichiche. Le tre sorelle sono certe che l’offensiva è finalizzata a tenersi il bottino contenuto, racconta suor Alicia a verbale, in una scatola. Oltre che a suor Pace, i gioielli erano stati mostrati a suor Chiara che li conservava in contenitori sigillati alla presenza del commissario pontificio, suor Daniela Pozzi, e delle consorelle Bernardetta, Veronicae Carmen. Tutti i beni vennero poi affidati al padre provinciale di Assisi.

Una volta allontanate dal convento,le tre sorelle incaricano un loro amico, ignaro del contenuto dei bagagli, di andare a ritirarli. Ma «all’apertura della cassetta che avrebbe dovuto contenere i preziosi– insiste suor Alicia - notammo subito che era stata aperta e rimossa del contenuto ». Secondo il loro racconto, suor Pozzi, il commissario pontificio, in un primo momento sostenne di aver tenuto alcune scatole per sé, poi di averle consegnate alla Congregazione dei religiosi a Roma. Misteri della fede. Nel frattempo le tre sorelle vengono messe all’indice. Anche quei pochi «superiori» che avevano provato a dar loro ospitalità, girano le spalle. Le porte dei conventi si chiudono. Il 30 luglio è il termine ultimo per il trasloco delle sorelle in una nuova comunità, trasferimento che deve essere autorizzato dai vertici vaticani pena l’allontanamento dall’ordine e la fine della loro vocazione. Solo padre Francisco Iglesias, cappuccino dei frati minori di via Piemonte a Roma, resiste alle sollecitazioni. Difende le esiliate. Lecura. Offre loro ospitalità. Dopodiché viene preso e trasferito pure lui, in Spagna.

Prima di andarsene lascia ai posteri questo messaggio autografo: «Dal punto di vista umano e religioso, ritengo che

le tre sorelle, secondo la logica di Dio, meritino davvero di una parola conclusiva che restituisc aloro la buona fama, la dignità e la giustizia, che sono loro dovute, spalancandole la porta di qualsiasi monastero...».

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