nostro inviato alle Lofoten
«Voi italiani avete il palato esigente. Noi norvegesi il pesce per soddisfarlo. Era inevitabile che ci trovassimo a metà strada». Il signor Svennson appoggia una mano su una catasta di stoccafissi che arriva al soffitto. Il suo piccolo capannone a pochi metri dal mare è stipato. Lodore che si fissa sui vestiti non è il massimo. «Ma il gusto, è quello che conta. E la qualità». Parola di pescatore. «E di imprenditore, e cuoco per diletto». Ci tiene, eccome.
Sortland, piccolo borgo tra i fiordi delle isole Lofoten. A poche miglia dal mare di Barents, lorizzonte sono acqua e montagne a picco, pescherecci, essiccatoi che si moltiplicano. Merluzzo steso allaria e al sole, per tre mesi. «È il tempo che ci vuole perché sia pronto. E qui ci sono le condizioni climatiche perfette. Né troppo secco, né troppo umido». Il signor Svennson ne va fiero. E comincia il suo elenco. Sempre perché «noi italiani» abbiamo il palato esigente. «Solo alle Lofoten (arcipelago della Norvegia di 1.227 chilometri quadrati e poco più di 24mila abitanti, ndr) esistono quindici qualità di stoccafisso: Ragno, Westre Magro, Westre Demi Magro, Gran Premier, Lub, Bremese, Olandese, Westre Corrente, Westre Ancona, Westre Piccolo, Italiano Grande, Italiano Grande Magro, Italiano Medio, Italiano Medio Magro e Italiano Piccolo». Ecco, già lindicazione Italiano la dice lunga sulle vie preferenziali del commercio ittico norvegese (tremila tonnellate di pesce esportato verso il Belpaese solo nel 2006). E il punto è questo. Che a seconda dei gusti dei consumatori nostrani, alle Lofoten selezionano merluzzi di qualità differenti. Sottile e magro, e venduto rullato e secco per il Veneto. Con filetti carnosi, se il pesce è destinato a Liguria, Campania, Calabria e Sicilia. Esigenti in Italia, e in Norvegia si adeguano. Perché un pesce è magro o polposo a seconda del periodo in cui viene pescato. Così, un merluzzo pescato nel primo periodo della stagione, metà febbraio, è più polposo di uno pescato verso la fine, a metà aprile.
Da Tromsø a Sortland, da Leknes a Svolvaer, di isola in isola, il paesaggio, geografico e umano, non cambia di molto. Perché la gran parte dello stoccafisso prodotto in Norvegia arriva proprio dalle Lofoten. E capita che ci sia chi scelga di vivere (o quasi) in mezzo al mare. Così ha fatto Grete, che di anni ne ha diciannove, luniversità lha iniziata da poco, e ogni mattina simbarca per fermarsi a cavallo del circolo polare artico. Biologa marina, Grete lavora su una piccola piattaforma. «Qui alleviamo e studiamo i pesci». Otto ore di lavoro tra freddo salsedine e il nulla che è attorno. «Faticoso? No, questo è il mio lavoro». Anzi, è di più. «Per noi la pesca è tutto o quasi. Sulle isole che sono qui attorno ci sono interi villaggi che vivono di questo». Facile crederle. Anche perché qui il merluzzo non significa solo commercio. In tavola, infatti, non manca praticamente mai. Perché ti spiegano che «è un cibo leggero e nutriente», e perché - oltretutto - da qualche anno è tornato di moda. Gli chef norvegesi - inclusi i più noti, come Per Hallundæk, Eyvind Hellstrøm e Sven Erik Renaa, vincitore di un Bocuse dOr - hanno cominciato a proporlo, e nei menù dei ristoranti delle Lofoten (tra i migliori, Vertshuset Skarven e Peppermøllen a Tromsø, Svendgård a Bodø, Børsen Spiseri a Svolvær, Holbergstuen a Bergen) compare spesso la voce «tradizionale stoccafisso norvegese». Dalla tavola, alle teche. Perché dello stoccafisso, su queste isole, esistono anche i musei.
Una tradizione culinaria antica di secoli. E vecchio di secoli è anche il legame con lItalia. «Piglionsi le merlucce secche, et faccionsi stare nellacqua tiepida per otto hore, et più, o meno secondo la grossezza...», scriveva Bartolomeo Scappi, cuoco personale di papa Pio V. Era il 1570, lo stoccafisso entrava di fatto nella cucina italiana.
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