È un ritorno al significato religioso della festa di Natale questa bellissima e in un certo senso coraggiosa esposizione che Palazzo Marino offre quest'anno ai milanesi fino all'8 gennaio, grazie al proseguire della prestigiosa collaborazione fra Eni e il Museo del Louvre.
Bellissima perché bellissime sono le due opere esposte - «L'Adorazione dei pastori» e «San Giuseppe falegname» di Georges de La Tour - coraggiosa perché, dopo i nomi di fama mondiale degli anni scorsi (Caravaggio, Leonardo e Tiziano), eni, Palazzo Marino e Louvre propongono un pittore francese non così noto al pubblico italiano, un protagonista di quel Seicento europeo che si muove tra la forza dirompente di Caravaggio e le più intime luci del nord fiammingo. Presentare queste due splendide opere ispirate alla Natività, è quasi una sfida e insieme un atto di fiducia nella capacità del pubblico di capire il valore di un artista, di comprenderne il linguaggio, la sensibilità, il gusto del racconto.
Il «Caravaggio francese», come viene chiamato il lorenese Georges de La Tour, nacque a Vic-sur Seille nel 1593 e morì improvvisamente nel 1652. Di circa vent'anni più giovane di Michelangelo Merisi, Georges de La Tour si muove nel vasto ambito del caravaggismo che segna prepotentemente la pittura del Seicento e può considerarsi una sorta di cerniera fra il grande artista «maudit» italiano e Gerritt van Honthorst il fiammingo, conosciuto anche come Gherardo delle Notti per via delle sue scene notturne, tutte giocate sul contrasto fra luci ed ombre. Un caravaggismo, quello di de La Tour, mutuato forse proprio dal quasi coetaneo Gerritt che conobbe a Roma le opere di Caravaggio.
Anche de La Tour, come Caravaggio, fu uomo litigioso e persino violento, ma anche e soprattutto ambizioso e desideroso di ascesa sociale. Non si mescolò al mondo delle taverne e dei lupanari, sposò una donna nobile e amò fregiarsi del titolo di pittore reale. Celebre e ricercato ai suoi tempi, gli toccò l'oscurità dopo la morte. Come a Vermeer. Fu riscoperto solo all'inizio del Novecento in un fondamentale scritto del critico tedesco Hermann Voss e da allora, come per Vermeer, si freme alla ricomparsa di ogni sua opera sul mercato, fra entusiasmi, quotazioni alle stelle e sospetti di falso.
Probabilmente commissionata dalla città di Lunéville, dove de La Tour viveva, nel 1644 in onore di un nuovo governatore, «L'Adorazione dei pastori» è opera della tarda maturità dell'artista che più o meno negli stessi anni dipinge anche «San Giuseppe falegname». Ma adesso dimentichiamo qualsiasi riferimento critico o biografico per entrare nella sala dell'Alessi e avvicinarci in semplicità alle due tele (chiuse nelle teche della ditta milanese Goppion), nella spoglia ambientazione che Elisabetta Greci ha studiato per le curatrici della mostra Valeria Merlini e Daniela Storti (il catalogo è di Skira): una curva parete che sembra di argilla, realizzata con terre desalinizzate, divide i due quadri, raccordandoli però in un unico percorso. Una cornice di arcaica povertà, quasi rozza, come rozza doveva essere la stalla di Betlemme e povera la casa di Nazareth.
Da Betlemme a Nazareth ci conduce infatti il pittore, attraversando i primi anni di Gesù e insieme trasformando il Natale da grande festa universale della maternità a celebrazione della paternità. Di una paternità trascurata, quasi dimenticata dalla grande iconografia cristiana e cattolica, che mette invece in primo piano Maria, la giovane donna toccata dalla grazia, simbolo di tutte le madri del mondo. Lui, Giuseppe, viene citato poche volte: è accanto a Maria nella gravidanza e nel parto, la protegge durante la fuga in Egitto, è con lei alla presentazione di Gesù al tempio, ma poi scompare, non sappiamo quando e come morì, non c'è durante la Passione, la sua morte non viene citata. Viene ricordato solo come il padre putativo, figura minore e quasi incolore.
Fu il regista Pasquale Festa Campanile in un delicato libro («Per amore solo per amore», premio Campiello 1984) a sottolinearne l'umile grandezza, la fede, la sua forza e il suo coraggio nell'accettare l'ardua condizione di padre terreno del figlio divino.
De La Tour sembra anticipare questa empatia, circondando la figura di Giuseppe di sommesso pathos. Nell' «Adorazione» guarda commosso e reverente il Bambino e la giovane, bella madre vestita di rosso, facendo velo con la mano alla candela, mentre dal Bambino sprigiona una luce soprannaturale.
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